Ercolano/Torre Annunziata.Ercolano. "Avevo due pistole: con un colpo mi illuminai l'ingresso, con gli altri lo uccisi". Michele Palumbo, alias "munnezza", ex sanguinario killer del clan Gionta di Torre Annunziata, oggi pentito, ha così spiegato in modo freddo, spietato, la dinamica dell'omicidio di Gaetano Pinto, pusher degli Ascione-Papale di Ercolano, ucciso sull'uscio di casa il 19 maggio 2007 per volere dei rivali del clan Birra-Iacomino.

Il racconto di Palumbo è stato messo a verbale dalla Dda di Napoli anche in un altro processo, che ha visto alla sbarra tutti gli organizzatori dell'omicidio. Imputati che lo scorso 31 gennaio sono stati condannati all'ergastolo. Ad accompagnare Palumbo nel raid mortale c'era un secondo affiliato al clan Gionta, Gioacchino Sperandeo, uno dei quattro condannati all'ergastolo. 

A decidere l'omicidio di Pinto, secondo quanto stabilito dalle indagini condotte dai carabinieri della compagnia di Torre del Greco, furono il boss ercolanese Stefano Zeno, suo fratello Giacomo e Ciro Uliano: per tutti è arrivata la condanna al massimo della pena. Ricorreranno in Appello. Nel frattempo, dalle motivazioni della sentenza di primo grado, emergono i dettagli della crudeltà con la quale Pinto fu trucidato in casa, alla presenza della moglie.

I Birra-Iacomino, per non destare sospetti, chiesero al clan Gionta un "prestito" di sicari. "Sapevamo che un meccanico lì vicino era cliente fisso di Pinto - ha continuato Palumbo nel dettaglio dinanzi ai giudici - . Gli chiesi il piacere di accompagnarmi a comprare un po' di droga". L'escamotage servì al killer per entrare in casa della vittima. Palumbo, quel giorno, con sè aveva due pistole, che quel meccanico non vide. Così, il meccanico permise inconsapevolmente a Michele "munnezza" di entrare in azione.


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