Qualcuno doveva fingersi acquirente di droga e ‘ingannare’ la vittima: fu deciso così dai ‘capi’ dei Gionta e dei Iacomino per riuscire a uccidere Gaetano Pinto. Ci voleva un piano, perché Pinto si era praticamente barricato in casa da quando sapeva di essere un obiettivo dei seguaci del super boss Giovanni Birra. Gli davano la caccia e lui l’aveva intuito: ciò non toglie che le menti delle due cosche riuscirono comunque a incastrarlo, proprio nella sua abitazione.

Un ‘bacio’ fece da segnale per i killer, l’uomo utilizzato per far introdotte i cecchini dei Gionta in casa, al momento del saluto riuscì a tenere aperta la porta e far entrare il commando. Pinto capì subito, proprio da quel saluto, che sarebbe stato ucciso. Una pioggia di proiettili che lo uccisero in pochi istanti, mentre nell’altra stanza c’erano sua moglie  sua figlia di due anni. Un massacro ordinato da quella pericolosa e potente alleanza stipulata fra i malavitosi della Cuparella e i ‘valentini’.

Un ordine che arrivò col benestare dei fratelli Zeno e di Pasquale Gionta, che concordavano su questo scambio reciproco di armi e killer. La ricostruzione del delitto, assieme ai nomi dei responsabili è stata resa possibile dai collaboratori di giustizia che hanno riferito i momenti salienti di quell’esecuzione, concordando sul fatto che le due cosche si misero d’accordo per poter arrivare in casa della vittima con un espediente. Un ruolo importante, poi, l’ha avuto la moglie della vittima: secondo quanto accertato dai carabinieri la donna fu addirittura costretta dagli Ascione – cosca alla quale era affiliato il marito – ad accusare ingiustamente degli elementi dei Birra, così da poterli ‘eliminare’ in maniera alternativa. 

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Ricostruito l'omicidio Pinto