“Questa mattina sono stato svegliato dal rumore di un elicottero. Mi sono affacciato al balcone e ho visto un velivolo della polizia fermo su una zona tra il Duomo e la Stazione Garibaldi. Non sapevo ancora che quella retata è scaturita dalle indagini sull'omicidio Siani che la Dda ha riaperto a seguito del mio libro”.

E’ il post scritto oggi sulla sua bacheca facebook, senza enfasi ma in modo freddo e lucido. Così come compete a un cronista consumato. Anche nell’epoca ‘social’. E’ il post di Roberto Paolo, caporedattore del “Roma” di Napoli, autore de “Il caso non è chiuso – La verità sull’omicidio di Giancarlo Siani” presentato, dopo quattro lunghi anni di personali indagini, il 27 febbraio scorso anche a Torre Annunziata presso il “Caffè Nuovevoci” (vedi articolo e video correlati, ndr).

Una controinchiesta giornalistica coi fiocchi, a 30 anni esatti dalla morte del giovane inviato de “il Mattino”, ucciso dalla camorra il 23 settembre 1985. Un libro nato dall’instancabile “culto del dubbio” del suo autore: sei persone già condannate all’ergastolo per l’efferato omicidio Siani ma falle, troppe, nelle indagini e nelle carte del processo.

E’ così che Roberto Paolo fa il ‘giornalista-giornalista’ (per dirla con Marco Risi e lo sceneggiatore di ‘Fortapasc’, pellicola del 2009 di ricostruzione nemmeno troppo riuscita del delitto e di quegli anni bui, ndr). Paolo studia scartoffie soprattutto in emeroteca, legge e rilegge quelle carte, imbattendosi infine in una confessione-choc: quella di un uomo che in una sera di marzo confida al caporedattore del “Roma” di aver consegnato le armi a due insospettabili killer del clan Giuliano di Forcella. Il dubbio cresce, Roberto Paolo scrive e la Procura di Napoli riapre il caso Siani, ora affidato ai pm Enrica Parascandolo e John Woodcock.

Stamattina la maxi-retata a Forcella (64 gli arresti) della Dda di Napoli, nei confronti di presunti appartenenti alle famiglie camorristiche Giuliano, Sibillo, Brunetti e Amirante (associazione di tipo mafioso, omicidio, tentato omicidio, traffico di stupefacenti, detenzione e porto abusivo di armi, le accuse mosse a vario titolo agli odierni indagati) rappresenta solo l’ultimo esito di una coraggiosa controinchiesta giornalistica. Roberto Paolo lo scrive anche oggi, senza enfasi, sulla sua bacheca ‘social’. Il caso non è chiuso. Affatto. La retata contro la camorra dei ‘bimbi’ ne è solo l’ennesima prova.

In foto Roberto Paolo, col presidente degli Avvocati Gennaro Torrese e il giornalista Vincenzo Lamberti, in occasione della presentazione del suo libro a Torre Annunziata    

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