Oplontis in mostra: “Dopo l’esposizione si lavori al museo in città”
L’idea supportata anche dal Soprintendente Massimo Osanna, intervenuto alla conferenza ‘Oplontis: la mostra e il progetto per la città’
19-10-2015 | di Raffaele Perrotta
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“Se fino ad oggi sono stati in magazzino o in giro per il mondo, adesso occorre farli tornare qui. Per questo con l’amministrazione abbiamo iniziato il discorso di un museo permanente”. Non è l’annuncio ad effetto del politico di turno e nemmeno il racconto dei tanti che immaginano a giusta ragione che la cultura, in realtà come Torre Annunziata, sia uno dei pochi mezzi per risollevarne le sorti della città. Il soprintendente di Pompei, Ercolano e Stabia, Massimo Osanna, ci crede. “Quest’anno abbiamo puntato tanto sui nuovi scavi e con il bilancio dell’anno prossimo destineremo risorse alla valorizzazione e cura del sito”.
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L’occasione è la conferenza ‘Oplontis: la mostra e il progetto per la città’. Intorno al tavolo anche il sindaco Giosuè Starita, l’assessore Antonio Irlando ed il professore Derrick de Kerckhove, in un’aula Giancarlo Siani piena di tante persone.
A PICCO SUL MARE. “Le ultime scoperte fatte con gli scavi ci hanno permesso di ricostruire il volto di Torre Annunziata com’era 2000 anni fa, con il mare che lambiva l’attuale via Murat”. Sebbene nell’aula di Palazzo Criscuolo manchi il proiettore, il racconto del professor Osanna riesce a sopperire alle immagini. “Le ricchezze che potremo ammirare nella mostra ci daranno testimonianza della vita ad Oplonti, una delle ville più belle e ricche dell’impero romano. Non solo ori, ma statue, anfore ed anche oggetti di vita quotidiana a testimonianza della vivacità che vi era in quegli ambienti”.
PERCHÈ TORRE ANNUNZIATA E NON OPLONTI? Non solo la mostra ‘Oplontis: il fascino e la bellezza’ ma anche e soprattutto l’impatto sociale sui cittadini. Tanto importante, stando alle parole del professore de Kerckhove, che ha lanciato una provocazione: “Perché non cambiare il nome della città in Oplonti? È un anatema ma anche una cosa bellissima”. Del resto, secondo il sociologo canadese: “Non basta solo il progetto urbano ma ne occorre anche uno sociale. Per questo, nei quartieri dove il disagio è maggiore, quelli intorno agli scavi, occorre dare un segnale forte: restituire alla città il suo cuore pulsante, lo Spolettificio. Da li far partire un percorso che si fonda su coinvolgimento, partecipazione e appartenenza”.
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