Torre Annunziata. Alla sbarra in 72, anche chi era un killer scelto. Al via ieri in tribunale, a due anni di distanza dallo sgombero, il maxi-processo Palazzo Fienga. 

“Mancati lavori contro il pericolo di crollo” e “inosservanza dell’ultimo ordine di sgombero” (il sesto scritto in 30 anni dal Comune di Torre Annunziata): queste le accuse mosse a vario titolo agli imputati. Tutti proprietari di uno o più appartamenti nell’ex fortino del clan Gionta. Fortino ora ridotto a covo sgomberato, a chiusura delle due inchieste parallele condotte dalla Procura di Torre Annunziata e dalla Dda di Napoli.

Nel maggio scorso fu accolta in toto la richiesta di rinvio a giudizio, formulata dai pm. Secondo l’accusa, i proprietari di case nel fortino sgomberato non avrebbero effettuato i lavori necessari per evitare eventuali crolli a Palazzo Fienga. Inoltre, alcuni non avrebbero osservato le 6 ordinanze di sgombero, emesse fin dagli anni ‘80 dal Comune per motivi di sicurezza. Secondo l’Antimafia, infatti, l'ex covo di camorra era “incompatibile con il soggiorno degli esseri umani”.

Tra i 72 imputati ieri a processo, anche alcuni elementi di spicco del clan Gionta. Come i killer scelti Giovanni Iapicca (alias “rangitiello”) e Liberato Guarro “Balduccio”. Alla sbarra anche Eduardo Venerando, Andrea Cirillo alias 'o sciacallo e Pasqualina Apuzzo, suocera del “boss poeta” Aldo (è la madre della moglie, Annunziata Caso). E ancora, diversi pregiudicati affiliati, tra cui membri delle famiglie Paduano e Carpentieri. 

Il covo di via Bertone 46 fu sgomberato all’alba del 15 gennaio 2015. Lo sgombero dell'ex fortino di camorra riguardò un mega complesso immobiliare su tre strade (anche via Castello e via D'Alagno): 42 nuclei familiari – per un totale di 193 persone – che occupavano 63 appartamenti, mentre 36 abitazioni non erano occupate; infine c'erano altri 17 locali non abitativi.

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