TORRE ANNUNZIATA Doveva essere il giorno della verità, oggi nell’aula gup del Tribunale di Napoli, per i dieci imputati affiliati al clan camorristico Gionta ed accusati dall’Antimafia di associazione a delinquere di stampo mafioso finalizzata alle estorsioni. Tutto invece slitta al 27 maggio, giorno del verdetto sul "pizzo a rate” in città per il quale il pm della Dda partenopea, Pierpaolo Filippelli, ha già chiesto complessivamente 152 anni di carcere. Un secolo e mezzo di galera nei confronti della camorra torrese.

Camorra descritta in requisitoria, dalla stessa pubblica accusa, come “in crisi economica”, senza più soldi per stipendiare suoi gregari e sodali, perciò bisognosa di capitali freschi e pronti contanti da immettere subito sul mercato. Per questo i “valentini” imponevano, ai titolari di bar e negozi di abbigliamento in città, una sorta di “sconto sul pizzo”, da pagare pure con modiche rate.

Tra gli imputati a processo con rito abbreviato anche le donne del clan che, secondo l’Antimafia, gestivano le casse in difficoltà di Palazzo Fienga: Francesca Donnarumma, assistita dai legali Giovanni Tortora e Nicolas Balzano, sorella di “donna Gemma”, Teresa Gionta, figlia di “don Valentino” e Anna Paduano, sorella del baby-boss Salvatore. Per tutte, la richiesta della Dda è di 10 anni di carcere. 

Venti anni, invece, sono stati invocati per Salvatore Ferraro, alias “o’ capitano” (assistito dagli avvocati Elio D’Aquino e Mauro Porcelli), Vincenzo Amoruso (a difenderlo Elio D’Aquino e Maria Macera), Benito Cioffi (difeso dal legale Nando Striano), Michele Guarro, Felice e Pasquale Savino. Domenico Bucciero (difeso dagli avvocati Ciro Ottobre, Luciano Bonzani e Dario Cuomo) ha infine già patteggiato una condanna a due anni con pena sospesa.       

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