Sarà il professore Lucio Fino, Ordinario di Scienze delle Costruzioni alla Facoltà di Architettura della “Federico II” di Napoli, e presidente del MEIC (Movimento Ecclesiale di Impegno Cristiano) del capoluogo partenopeo, a spiegare al Mondo intero con una sua perizia tecnica il perché del crollo della “Casa del Gladiatore”, sbriciolatasi agli Scavi di Pompei il 6 novembre 2010.

Così hanno deciso i giudici della prima sezione penale del Tribunale di Torre Annunziata (presidente di collegio Ernesto Anastasio), dopo i risultati contrastanti delle due consulenze di parte già agli atti del processo. Processo che vede alla sbarra per disastro colposo l’architetto Paola Rispoli, ora in pensione, ma cinque anni fa responsabile delle Regioni I e III degli Scavi (il crollo si verificò nella Regio III, in via dell’Abbondanza. Il Comune di Pompei si è costituito parte civile, ndr).  

Il Professor Fino, mai occupatosi di crolli di reperti archeologici, pur coinvolto in passato nell’equipè per il restauro della “Casa del Clero” a Capodimonte, avrà novanta giorni di tempo per depositare la sua “perizia-verità”. Perizia da scrivere solo dopo un primo incontro, il 5 novembre in via Falcone a Napoli, con il consulente della difesa, l’ingegnere Nicola Augenti, che incaricato dagli avvocati della Rispoli (i legali Orazio Cicatelli e Giuseppe Fusco) ha sostenuto anche in aula l’incidenza sul disastro delle forti piogge. Precipitazioni addirittura “straordinarie”, abbattutesi su Pompei quattro giorni prima del crollo agli Scavi. Una bomba d’acqua record (40 cm in mezz’ora) “una sorta di lava di fango, che travolse anche una della pareti della Schola”, indebolendone così l’intera struttura.

Per il pm della Procura della Repubblica oplontina Emilio Prisco, invece, l’architetto Rispoli fu “imprudente e negligente nel sottovalutare l'avanzato stato di degrado dell'edificio”. L’architetto sarebbe stato infatti “incaricato, dal direttore dell’Ufficio Tecnico degli Scavi, di procedere all’identificazione di murature ad immediato pericolo”. Tra novanta giorni solo una terza perizia, ordinata stavolta dai giudici, potrebbe essere decisiva in vista della sentenza.

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