Pompei, opere abusive su suolo pubblico al posto dei marciapiedi
Una storia lunga decenni: due ordinanze di demolizione non ottemperate. Gli atti, però, sono scomparsi dal sito del Comune
31-10-2016 | di Raffaele Perrotta
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Una serie di opere abusive realizzate in gran parte su suolo pubblico e mai demolite, motivo per cui non è stata accolta la richiesta di condono edilizio protocollata nel 2005. Ad aggravare lo stato dei luoghi è l’insistenza su uno spazio che doveva essere destinato a marciapiede pubblico ma che, per la presenza di questi manufatti, non si è mai potuto costruire. Si tratta di abusi realizzati negli ultimi 30 anni a via Capone a Pompei, sui quali gravano due ordinanze di demolizione: una prima nel 2014, la 90, a firma dell’ingegnere Fiorenza, ed una seconda del 2016, la 36, questa volta a firma dell’ingegnere Nunziata.
Solo nelle ultime settimane, quando ormai sono stati superati da tempo i 90 giorni previsti per il ripristino dello stato dei luoghi dettati dagli ordini dirigenziali, i titolari degli abusi hanno richiesto la sospensiva al Tar ed oggi sono in attesa di responso.
I DETTAGLI. Stando agli atti prodotti dai dirigenti di Palazzo De Fusco, le strutture che si devono abbattere sono due (qui per le foto da 5 a 7): una in ferro zincato di circa 30 metri quadrati ed alta quasi 2, con una copertura a volta ed una porta basculante. La seconda, invece, è stata realizzata dai titolari di un noto negozio del Comune mariano: 3 setti murari modificati anche nel periodo dal 2009 al 2011, con allargamento delle varie aperture preesistenti ed apertura ex novo di un finestrone di 3 metri per 1,5 sempre su via Capone.
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OCCUPAZIONE SUOLO PUBBLICO. Dato che queste opere abusive hanno occupato, in parte, suolo pubblico fino adesso, i titolari avrebbero dovuto pagare la Tosap (tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche). Ma di questa non c’è alcuna traccia.
TRASPARENZA? Verrebbe da rispondere: “Questa sconosciuta”. Soprattutto se si tratta della sezione ‘Amministrazione trasparente’ del Comune di Pompei. Già in passato, infatti, sono stati sollevati casi di atti non pubblicati sul sito istituzionale. Anche in questo caso è impossibile reperire le ordinanze 90 del 2014 e 36 del 2016. A ciò si aggiunge che proprio per l’anno in corso, nella sottosezione ‘Ordinanze dirigenziali’ se l’ultimo atto pubblicato segna il numero 170 (al momento in cui pubblichiamo l’articolo), andando a contare se ne ritrovano meno di 70 (qui la lista attuale in foto da 1 a 4 , in alternativa, qui il link alla pagina).
PRECISAZIONI. Nelle due ordinanze sotto la lente di ingrandimento, si chiede la demolizione entro 90 giorni, ma è ben evidente che dalla data di pubblicazione di entrambe il tempo trascorso è stato molto di più. Inoltre, ad una lettura attenta della seconda, la 36 del 2016, nell’avviso ai titolari si fa riferimento all’articolo 31 del decreto 380 del 2001. Un errore parziale visto che buona parte delle opere sta su suolo pubblico. In questo caso si sarebbe dovuto far riferimento all’articolo 35 che prevede la demolizione in danno dei responsabili dell’abuso.
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