Polemiche e scontri sono ormai il pane quotidiano della politica italiana. Se a Roma lo scenario è tratteggiato da queste caratteristiche, il resto dello stivale non è da meno. Accade, quindi, che a Pompei, tra scavi e Santuario, si riaccende la flebile fiammella dei partiti e delle liste che aspirano a rappresentare interessi e problemi di cittadini ed imprenditori sparsi nei vari angoli della città, in vista delle prossime amministrative della primavera 2017. A questo occorre aggiungere che uno dei maggiori partiti nazionali, il Pd, proprio in questo che è uno dei pochi Comuni simbolo dell’ex governo Renzi e del ministro Franceschini, non ha né una sede ma, ancor più grave, neppure un gruppo dirigente ormai da anni.

“In tante e ripetute occasioni abbiamo sollecitato l’intervento dei vertici provinciali e regionali del Partito al fine di risolvere il Caso Pompei”. Dice Attilio Adami, uno dei dirigenti messi alla porta dalle riunioni degli ultimi giorni, ma che accusa i “rappresentanti ostaggio, o peggio ancora collusi con impolverati voltagabbana, che rappresentano solo piccole ed insidiose correnti. Questi – dice – si ergono a deus ex machina dell’intero partito, ma nella realtà sono soltanto espressioni dei propri interessi”.

Il dito puntato di Adami è verso uno dei commissari della triade, nominati per risolvere la matassa, aggrovigliata già da qualche anno, ancor prima delle elezioni dell’ultimo sindaco Uliano. “L’ultimo episodio, in ordine di tempo, è capitato qualche giorno fa quando ha ben pensato di rappresentare il partito nella sua interezza, presenziando una riunione su invito di una variopinta compagine. Quindi, cosa ancor più grave – conclude – ha approvato la stesura di un documento con forze politiche che mai hanno rappresentato i Dem, ma anzi sono espressione manifesta del Centro Destra e di Forza Italia”.

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