Il Chiostro della antica chiesa di Sant Antonio si apre al pubblico per mostrare una stupenda mostra fotografica che raccoglie foto antiche della città di Portici dal titolo ‘Portici come era’. Un evento che suscita grande emozione per un salto nel tempo di quasi un secolo, per non dimenticare orgogliosamente la storia dell’essere porticesi.

Scatti datati fin dal 1930, e che tramandano, nel tempo, con i loro colori sbiaditi, le immagini di quello che era il territorio. Emozionano le istantanee della Reggia, il proto del Granatello, la stazioncina di Ballavista, i palazzi del Corso Garibaldi, quelli della Riccia e di Bellavista, e la loro ambientazione del tempo. E poi le belle ville signorili, molte scomparse perché demolite per far luogo alla miriade di palazzoni anonimi oggetto della più spregiudicata speculazione edilizia degli anni 50.

La mostra è stata voluta da Don Dhalmasiri, Carlo Algamage, e Ferdinando Gebbia ed è da considerarsi una vera e propria attestazione di affetto per la città e divulgazione alle nuove generazioni e per offrirgli una radice storica, una identità di un territorio che gli appartiene. Presenti anche gli storici Umberto Mezza, Teodoro Reale, Stanislao Scognamiglio e Salvatore Imperato. Una visione emozionale, quella delle ville vesuviane su un territorio tra mare e Vesuvio come benedetto dalla natura che attraeva visitatori e villeggianti.

Dietro ogni villa una storia, come quella di Villa Carotenuto a via Diaz degli anni 30 alle spalle della quale il proprietario aveva un pastificio divenuto distaccamento di fanteria e poi pensione per i villeggianti. La villa fu acquisita dal costruttore Ottieri il cui figlio Gennarino, medico, sposò una principessa indiana, da qui lo spunto, si racconta, per la famosa canzone di Modugno “Pasqualino Maragià”.

“È una mostra che potrebbe diventare itinerante – fa sapere lo storico Mezza – perché non è appannaggio di una struttura ma è della collettività. I cittadini devono conoscere questo territorio per poterlo valorizzare tutelare. È uno scrigno da aprire per mostrarne i tesori evitando che le istituzioni pubbliche possano fare altro danno offendendo la storia e le preesistenze storiche e architettoniche più  di quanto abbiano già fatto”.

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