Tra i presupposti richiesti dall’Unione Europea per l’erogazione dei fondi del Recovery plan, vi è anche una riduzione dei tempi della giustizia civile, che da sempre scoraggia investimenti in Italia.

La questione è tornata prepotentemente alla ribalta in questo periodo, in cui il futuro del nostro paese è quanto mai in discussione, legato a doppio filo a questi circa 3 miliardi (2,7 miliardi per essere precisi) che dovrebbero essere destinati al comparto giustizia.

Ecco perché è di vitale importanza avere una giustizia civile più snella, in grado di fornire risposte ai cittadini in tempi celeri, evitando l’accumulo di fascicoli e di sentenze da emettere.

Esigenza questa che si trascina da tempo immemore e alla quale più di un guardasigilli non ha saputo, fino ad oggi trovare una soluzione e che naturalmente ha attirato l’attenzione anche della nuova inquilina di Via Arenula.

La Ministra Cartabia dichiara infatti di voler ridurre con le misure allo studio i tempi dei giudizi civili nella misura almeno del 40%, per porre finalmente la giustizia italiana a livello con il resto dell’Europa.

Intento nobile se si pensa che un processo realmente efficiente, potrebbe assicurare un aumento del tanto amato PIL, con tutte le ricadute che ne deriverebbero in tema di occupazione.

Da qui, fiumi di parole, dibattiti, talvolta per carità anche leggi, ma sempre fine a se stesse, senza un progetto concreto: copione purtroppo identico da troppo tempo.

Sarà così anche questa volta? Se il buon giorno si vede dal mattino è fin troppo facile comprendere che ancora una volta siamo davanti ad una “presunta riforma” o meglio ad una riforma a costo zero.

Infatti ad una lettura il programma in materia di giustizia appare alquanto deludente.

Per essere chiari non si vede traccia di ciò di cui il sistema giustizia avrebbe realmente bisogno, ovvero di un potenziamento della Magistratura, del personale di cancelleria e dei mezzi a disposizione di ognuno; per non tacere dell’edilizia giudiziaria.

Ecco ci si sarebbe aspettati una risposta su questo tema, mentre al contrario l’argomento è del tutto ignorato: laddove invece sarebbe stato opportuno avviare una seria riflessione in materia, sia in tema di contenimento dei costi che di una maggiore efficienza.

Troppo spesso, infatti, la Giustizia è amministrata in sedi inadeguate, che mortificano la professionalità degli addetti ai lavori, per tacere dei costi che sono sostenuti talvolta per pagarne l’affitto.

Senza dimenticare le risorse umane, per il funzionamento della macchina della giustizia, un problema che viene eluso anch’esso dalle riforme sul tavolo: questo vale sia per il personale di cancelleria che per la Magistratura professionale e onoraria.

Una prima soluzione concreta sarebbe stata bandire concorsi in numero realmente utile da coprire del tutto le scoperture di organico dei magistrati di carriera, limitando poi a casi del tutto eccezionali il collocamento fuori ruolo.

Intento auspicabile, ma di difficile attuazione, visti le ristrettezze economiche e i vincoli non solo del sistema giustizia, che impediscono l’assunzione del numero di Magistrati di cui si avrebbe effettivamente bisogno.

Si dirà che il legislatore sta cercando di ovviare a questi limiti, con l’istituzione dell’ufficio del processo e l’ingresso di nuovi magistrati onorari in servizio; misure che una volta a regime risolveranno definitivamente ogni problema.

In realtà non è affatto così, poiché coloro che saranno assunti all’interno dell’ufficio del processo, lo saranno solo a tempo determinato per poi tornare a casa, terminato il proprio rapporto di lavoro con la pubblica amministrazione.

Lo stesso si può dire per i nuovi Giudici Onorari, i quali salvo modifiche normative sono destinati a restare in carica per un numero limitato di anni, sia pur a fronte di un aumento di competenze.

Ci vuole poco a comprendere come sia l’ufficio del processo che la legge “Orlando” non risolveranno in realtà, nessuno dei mali che affliggono la giustizia, per due motivi molto semplici.

In primo luogo, in entrambi i casi si tratta come visto di assunzioni limitate nel tempo, in cui decorsa la fase di formazione, allorquando l’interessato entra nella fase di maturazione professionale il Ministero recide ogni rapporto: ovvero nel momento in cui si tratterebbe di raccogliere i frutti della formazione.

Inoltre, l’assenza di una retribuzione adeguata agli incarichi in questione, di fatto scoraggia un impegno maggiore e piaccia o no andrà ad intaccare la produttività.

Analoghe considerazioni possono farsi per i Magistrati onorari già in servizio, i quali se la normativa in vigore sarà quella prevista dalla “Orlando”, oltre a vedere drasticamente ridotti i propri emolumenti. In tempi relativamente brevi, cesseranno il proprio incarico.

Insomma, il legislatore ha la pretesa di risolvere le ataviche carenze nell’organico dell’amministrazione della giustizia con una precarizzazione del servizio, senza pensare assolutamente a valorizzare le risorse umane che ha a disposizione.

Per non parlare delle carenze in tema di personale di cancelleria, da tempo sotto organico e che sconta anch’esso la mancanza di concorsi adeguati a coprire tali scoperture.

Non è possibile pensare di migliorare l’efficienza della giustizia, senza risolvere i problemi di coloro che sono chiamati a collaborare al funzionamento.

Da troppo tempo in ogni Tribunale si susseguono pensionamenti di cancellieri depositari di un patrimonio di grande esperienza e che in troppi casi se non nella stragrande maggioranza non vengono sostituiti da unità giovani.

Anche in questo ambito ci si perdoni, è la retorica con progetti di fatto irrealizzabili a farla da padrona! Non si può pensare di risolvere parte dei problemi della giustizia con la digitalizzazione del processo, se non si prevedono risorse umane adeguate.

Infatti, occorre personale di cancelleria che gestisca l’enorme mole di dati che derivano dal processo telematico, senza contare che spesso e volentieri il sistema mostra dei limiti nel funzionamento.

Ecco il vero problema della riforma della giustizia civile sul tavolo è in certi suoi tratti l’assoluta natura velleitaria, meglio utopistica, poiché il legislatore “simula” una soluzione laddove in realtà il problema è ancora ben lontano dall’essere risolto.

Per essere precisi l’Ufficio del Processo è uno strumento che sulla carta dovrebbe agevolare il lavoro del Magistrato ma che nella realtà minaccia di complicarlo alquanto, poiché inevitabilmente dovrà verificare il lavoro dei suoi collaboratori.

Perplessità che si aggiungono a quelle menzionate in precedenza e che aiutano a comprendere come si tratti in realtà dell’ennesimo tentativo di rimuovere i problemi della giustizia.

Caratteristiche che si riscontrano anche nell’eccessivo affidamento che viene fatto ai mezzi cd” alternativi” di soluzione delle controversie, come il potenziamento della mediazione e della negoziazione assistita e dell’arbitrato.

Strumenti di soluzione delle controversie che di per sé, non sarebbero nemmeno sbagliati, ma che continuano ad essere privi di un reale coordinamento con la fase processuale.

Certo si dirà, il Magistrato deve tenere conto del comportamento delle parti e delle risultanze nella fase precedente, ma in realtà costui non ha nessun controllo concreto su quanto accade in tali ambiti.

 Nella realtà i dati sino ad oggi hanno evidenziato, come si tratti di strumenti che hanno per lo più provocato una dilatazione dei costi e un allungamento dei tempi di definizione delle vicende; prevedere semplicemente maggiori incentivi economici non risolve il problema.

In poche parole, in particolare la mediazione o la negoziazione assistita, allo stato sono un mero” rituale” che viene compiuto, troppo spesso senza alcuna convinzione, e l’aver introdotto semplicemente delle ulteriori agevolazioni economiche, senza una reale riforma strutturale, lascia intendere che il problema sussiste ancora.

E non si dica che si tratta di un problema culturale e di volontà di abusare dello strumento processuale (soprattutto in determinate zone del paese) da parte dell’avvocatura.

Nulla di più infondato! Il processo è lo strumento in grado di tutelare al meglio le esigenze del cittadino. Sempre, e a patto, che ne sia assicurato il corretto funzionamento con le opportune modifiche normative, ormai necessarie per renderlo realmente al passo con i tempi.

Giusto prevedere, uno snellimento del rito civile, assicurando un processo più veloce, ma si tratta pur sempre di misure che dovranno essere attuate concretamente con un potenziamento delle risorse umane a disposizione del comparto giustizia.

Ecco perché sulla riforma del processo civile, pensata dalla Guardasigilli Cartabia, vi sono forti perplessità, che rendono plausibile per questo progetto il destino di altre riforme della giustizia, ovvero di un qualcosa adatto ad un libro dei sogni e che non produrrà alcun cambiamento; vale a dire l’ennesima occasione mancata.

Insomma, inutile allarmarsi o preoccuparsi troppo, perché ancora una volta il legislatore si è colpevolmente dimenticato della giustizia civile e della sua rilevanza nel processo di rilancio del paese.

 

A cura di Nico Dente Gattola, Magistrato Onorario del Tribunale di Torre Annunziata


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