Il patrimonio naturalistico del Parco Nazionale del Vesuvio avvelenato da decine di tonnellate di rifiuti tossici. Amianto e idrocarburi sepolti sotto terra e sversati illecitimente in terreni agricoli. Nel mirino dell'operazione finalizzata al contrasto dei crimini ambientali un’impresa di smaltimento operante in alcuni comuni dell'area vesuviana. Scatta l'arresto per cinque imprenditori, due dietro le sbarre e tre agli arresti domiciliari.

Sotto sequestro la sede dell’impresa interessata nonché due impianti di trattamento dei rifiuti, 7 autocarri e due pale meccaniche, tutti di proprietà della ditta, e verosimilmente utilizzati per la commissione del reato contestato. Sotto terra rifiuti di lavori edili e stradali, cartongesso, guaine bituminose, fresato d’asfalto, amianto e terre e rocce da scavo. I criminali nascondevano la pericolosità dei rifiuti con il metodo del giro bolla, ovvero falsificando i documenti di trasporto, tramite i quali gli scarti sarebbero stati declassificati ‘ad arte’ come non pericolosi, abbattendo conseguentemente i costi di trattamento e smaltimento, consentendo di ottenere, pertanto, centinaia di migliaia di euro in profitti illeciti per l’impresa.

Per delega del  Procuratore della Repubblica distrettuale di Napoli, questa mattina, i militari della Compagnia Carabinieri di Torre Annunziata e del Reparto Carabinieri “Parco” di San Sebastiano al Vesuvio hanno dato esecuzione a un’ordinanza applicativa di misure cautelari personali, emessa dal G.I.P. del Tribunale di Napoli su richiesta della locale Procura della Repubblica, Direzione distrettuale antimafia, nei confronti di 9 persone, gravemente indiziate in ordine al reato di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti.


L’attività di indagine, condotta dai Carabinieri della Stazione di Ottaviano, con il supporto specialistico dei Carabinieri Forestali della Stazione “Parco” di Ottaviano, sotto il coordinamento della Procura della Repubblica di Nola e della Procura della Repubblica - D.D.A. - di Napoli, è cominciata nel mese di gennaio 2021 a seguito di verifiche effettuate su di un’impresa di smaltimento rifiuti operante in alcuni Comuni vesuviani. I controlli dei militari facevano emergere la presenza di tre siti di sversamento illecito di fanghi derivanti dal dragaggio di alcuni canali del reticolo idrografico del Fiume Sarno (Rio Sguazzatorio e Rio Bottaro), ove i rifiuti in questione venivano trasportati, sversati senza alcuna autorizzazione e senza il previsto trattamento. Nei mesi successivi, si raccoglievano numerosi elementi di prova in ordine alla presenza di un collaudato sistema di dismissione di vari rifiuti speciali e rifiuti pericolosi (rifiuti di lavori edili e stradali, cartongesso, guaine bituminose, fresato d’asfalto, amianto e terre e rocce da scavo) con il metodo del c.d. giro bolla, ovvero la falsificazione dei documenti di trasporto, tramite i quali gli scarti sarebbero stati declassificati ‘ad arte’ a rifiuti non pericolosi, abbattendo conseguentemente i costi di trattamento e smaltimento, consentendo di ottenere, pertanto, centinaia di migliaia di euro in profitti illeciti per l’impresa.

In pochi mesi, decine di migliaia di tonnellate di rifiuti sarebbero state, pertanto, sotterrate senza alcuna cautela in terreni agricoli (noccioleti e frutteti) non idonei alla messa in riserva o allo stoccaggio. Uno dei siti d’interramento ricade addirittura all’interno del territorio dell’area protetta del Parco Nazionale del Vesuvio.

In questi luoghi di sversamento, venivano campionate – con il supporto di ARPA Campania – numerose sostanze fortemente inquinanti, capaci di danneggiare e deteriorare gravemente la matrice suolo e l’ambiente, tra cui amianto, idrocarburi e IPA. Due dei siti monitorati venivano sottoposti a sequestro a seguito dei citati accessi ispettivi. Ulteriori riscontri sull’attività in parola venivano effettuati tramite l’acquisizione di documenti e l’analisi dei filmati di videosorveglianza disponibili.
Due degli indagati destinatari del provvedimento sono stati sottoposti alla custodia cautelare in carcere; tre degli indagati sono stati ristretti in regime di arresti domiciliari e per i restanti quattro è stato disposto l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria.

 

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