“Tutte le arti tendono alla musica”. È così che Roberto Benigni, con il suo monologo sulle libertà fondamentali della Costituzione, apre il Festival di Sanremo 2023
Ma la Kermesse, come ribadito a gran voce dal premio Oscar, è aperta a tutte le forme d’arte, accoglie e non denigra, è inclusiva, è libera. 

Le sterili polemiche dei giorni passati sono state, così, elegantemente, messe a tacere. Chi ha seguito sa (e non intendiamo cedere a commenti faziosi). Ognuno dei protagonisti del Festival, sia interpreti che conduttori, ha “liberato” la propria arte attraverso la musica, le parole e, naturalmente, il modo di vestire, che si è tramutato, come sempre accade su questo palcoscenico, in un autentico “manifesto” di ideali. 

Può, dunque, un abito trasformarsi in “strumento evocativo”? La risposta è, senza alcun dubbio, affermativa. Esempio lampante ne è (appunto) il “manifesto dress” indossato da Chiara Ferragni nella sua prima apparizione sul palco dell’Ariston. Frutto del genio artistico di Mariagrazia Chiuri (Dior) e del duo Claire Fontaine, nato da un’idea dell’influencer e dell’amico e braccio destro Fabio Maria Damato, l’abito nero a Corolla con stola claim a contrasto ha fatto da apripista ai look successivi. 
Con lo slogan “think yourself free” ovvero “pensati libera”, Chiara ha portato al Festival la sua (non) personale battaglia. Un invito rivolto a tutte le donne (e agli uomini capaci di ascoltarle), a sentirsi loro stesse, ad affermare la propria personalità e le proprie idee senza paura e senza temere il giudizio altrui.

Il secondo cambio d’abito, “effetto nude”, ha bucato letteralmente lo schermo “mettendo in scena” la suggestione della nudità. Un vero e proprio memorandum che si fa quasi insegnamento, rivolto a tutte coloro che - liberamente - decidono di mostrarsi. La Ferragni, grazie all’ausilio di tulle, lustrini ed un ricamo “trompe d’oeil”, cucito ad arte, in un’illusione ispirata al dipinto di Lucas Cranach d. Ä., si trasforma così in una moderna Eva “senza vergogna” firmata Dior. L’ingresso sulle note di “nessuno mi può giudicare” accresce l’intensità del momento. 

Non ultimo “l’abito gabbia” in tulle e strass (un’autentica scultura) che precede “the hate dress”, l’abito dell’odio (o meglio contro l’odio). Come si riporta in uno dei post di Chiara su IG, “Mariagrazia Chiuri ha avuto l’idea di ricamare parole nere su un peplo bianco come la pagina di un libro che racconta quel disprezzo infruttifero contro il quale lottare ogni singolo giorno”.

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