Tre anni e sei mesi di galera ad un agente di polizia penitenziaria. Paradossale ma vero. Succede anche questo al Tribunale di Torre Annunziata, dove ieri i giudici della prima sezione penale (presidente di collegio Maria Laura Ciollaro) hanno inflitto la pesante condanna per corruzione ai danni di Vincenzo Orlando (47 anni), secondino a Poggioreale durante il periodo di detenzione del ‘colonnello’ del clan Cesarano, Antonio Inserra. Duro verdetto anche per il fratello del ras della cosca di Ponte Persica, Salvatore Inserra (49), che sempre ieri ha incassato 9 anni e 6 mesi per associazione a delinquere e concorso in corruzione. Il pm dell’Antimafia Pierpaolo Filippelli aveva chiesto per entrambi, rispettivamente difesi dagli avvocati Salvatore Tecce ed Antonio Cesarano, 16 anni complessivi di carcere.

Vincenzo Orlando e Antonio Inserra sono gli unici imputati ad aver scelto di essere giudicati con rito ordinario, nell’ambito del processo stralcio nato dall’inchiesta ‘Easy mail’, condotta dalla Dda di Napoli nel 2009. Inchiesta che ha già portato a 14 condanne in abbreviato nei confronti di altrettanti imputati. Tra questi un altro secondino, Pasquale Cipollaro, il secondo agente della penitenziaria condannato a quattro anni per aver favorito Tonino ‘o’ guerriero’, facendogli arrivare in cella droga e schede sim da inserire nel telefono cellulare. Cellulare che il boss del clan egemone tra Pompei e Scafati usava regolarmente in carcere, nonostante avesse il divieto di comunicare con l’esterno.

Ed invece, con la complicità delle ‘guardie’ al libro paga dei Cesarano, il ras poteva addirittura “incontrare di notte in carcere la donna con cui aveva una relazione”, un’infermiera di Torre del Greco in servizio sempre a Poggioreale. Il piccante particolare fu rivelato a processo da uno degli inquirenti che condusse l'interessante inchiesta “Easy Mail”. “Gli incontri – raccontò il teste in aula nello scorso febbraio, rispondendo alle domande del pm Filippelli – avvenivano grazie agli agenti della polizia penitenziaria corrotti. In cambio dei piaceri ricevevano soldi”.

Un processo, quello chiuso ieri in primo grado e con le ultime condanne in ordinario, che ha in pratica svelato come i vertici del clan, nonostante fossero in ‘gabbia’, impartissero comunque coi classici ‘pizzini’ istruzioni ai familiari per gestire gli affari illeciti della cosca.  

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