Sgarbossa: “App per tracciare spostamenti non risolverà il problema”
L’analisi dell’esperta: “In molti non sanno di essere positivi”. Ma i dubbi investono anche la tutela della privacy
06-04-2020 | di Redazione
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"L’app per il tracciamento del contagio non sarà risolutiva perché molti pazienti già contagiati sono anziani e non hanno uno smartphone per scaricarla, mentre in molti non sanno neanche di essere positivi perché asintomatici. Affinché il sistema possa funzionare bisognerebbe mettere i cittadini in condizione di sapere con certezza se si è stati contagiati".
E’ il parere di Chiara Sgarbossa, Direttore dell’Osservatorio Innovazione Digitale in Sanità del Politecnico di Milano, riguardo ad un sistema di tracciamento italiano a cui sta lavorando una task force tecnologica nominata dal governo.
L’Osservatorio in queste settimane sta lavorando ad un censimento della sanità digitale italiana durante l’epidemia i cui risultati saranno resi noti a fine maggio.
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"Per capire l’utilità di una operazione del genere - aggiunge - bisogna andare a guardare l’esempio di altri paesi che l’hanno adottata prima di noi come la Cina, la Corea del Sud o Singapore dove c’è un sistema di controllo diverso. In Italia, a meno che non si forzi la normativa europea sulla Privacy, l'app deve essere scaricata volontariamente, bisogna convincere un numero sufficiente di persone a farlo e ad inserire correttamente i dati, poiché senza nessun controllo si possono anche creare situazioni finte. E si dovrebbero capire anche le applicazioni future oltre alla necessità del momento".
"Anche l'esperienza della Lombardia con l'app 'AllertaLom' - sottolinea Sgarbossa - è una primissima mappa ma non esaustiva e affidabile, non tutti la scaricheranno e non tutti la compileranno. Se gli abitanti della Lombardia sono 10 milioni e la scaricano in 500mila, siamo al 5% della popolazione. E' tutto lasciato alla volontà civile e sociale del cittadino di auto-dichiararsi".
"E' vero che tutti noi siamo tracciati quotidianamente - conclude l'esperto – e spesso diamo consensi senza sapere cosa facciamo, ma se una operazione del genere non si fa per fini commerciali ma sanitari e si mette in piedi qualcosa istituzionale c’è una sensibilità diversa”.
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