Nola. Via Duomo. Un uggioso pomeriggio di novembre. Comincia così questa storia. Nella quale non vi saranno eroi, né dame, né draghi che sputano fuoco. Soltanto un ragazzo con la barba e un libro, il suo romanzo d’esordio: Quattrotretre. Scritto tutto attaccato (dilemma grammaticale: perché tutt’attaccato si scrive staccato?), perché non è una semplice combinazione numerica. È un credo calcistico, quello di Zdenek Zeman. L’allenatore che ha reso celebre la Boemia. Si, proprio quella dei bicchieri di cristallo venduti a caro prezzo nelle televendite.

C’è Zeman tra le pagine di questo libro, e c’è lui, Paquito Catanzaro, il ragazzo con la barba che, chino sulla tastiera, ha dato vita a questo romanzo. Paquito, cui dicono «Somigli a Ben Affleck» e Ben Affleck si arrabbia di brutto. Sarà perché non ha scritto Quattrotretre e perché non sa chi è Tovalieri. Vecchio bomber finito tra le pagine di questo romanzo, che è un omaggio a quei calciatori finiti sulle pagine dell’album dei calciatori Panini. Un’istituzione per chi ama il calcio. Un pezzo da museo per i ragazzi abituati a cliccare il tasto destro del mouse e “salvare con nome” la foto del campione preferito. E se gli chiedi chi è Tovalieri cominciano a ridere, pensando tu li stia prendendo in giro.

Ma il calcio è una cosa seria e allora tra le pagine di questo libricino trovano spazio leggende come Maradona, Facchetti e Weah, ma pure onesti difensori come Rezaei o funamboli da bassa classifica, come Fabian Valtolina, che sul serio ti viene in mente solo mentre giochi a “nomi, cose e città”. Eppure, una domenica di molti anni fa, decide di fregarsene delle leggi della fisica e realizzare uno dei gol più belli degli ultimi 20 anni.

Ma ritorniamo a Nola, al ragazzo con la barba incolta e coi libri sottobraccio che, adocchiando il display del telefonino, si ripete “fa che venga, fa che venga”. In quella piccola e accogliente libreria a pochi passi dal duomo, lo attende una presentazione del suo romanzo. Molti amici, giornalisti attenti che relazioneranno e un ospite che cambierà la sua serata. Tenete a bada, o voi lettori, peccaminosi pensieri e ipotesi da romanzo rosa. L’ospite che attende è un calciatore, tale Soviero Salvatore, nato a Palma Campana e ivi residente dopo un’onesta carriera da numero 1 in giro per il meridione. Carattere sanguigno e piglio deciso, Soviero è noto ai più per le malefatte sportive e per quel video in cui invita la madre del guardalinee a testare la bandierina per soffocare la solitudine coniugale.

L’hanno invitato a desistere, a non invitare un individuo così facile all’ira per non rovinarsi la presentazione. Eppure lui, il ragazzo con la barba, quello che ricorda Ben Affleck ma non gli somiglia, non cambia idea. E tempesta l’ex campione di telefonate, sms e pure qualche piccione viaggiatore, abbattuto per sbaglio da un cacciatore disattento.

Intanto l’evento comincia. Saluti di rito, timidi applausi e un moderatore che introduce quello che, a suo parere, è un libro che merita attenzione. Si chiede Paquito, il ragazzo con la barba, “che libro avrà mai letto, questo moderatore?”. Eccesso di modestia o forse l’amara consapevolezza di aver inviato qualche altro pdf in allegato a quella mail partita poche settimane prima. Intanto un altro relatore comincia il suo intervento, elogiando i nomi dei campioni e ricordando col sorriso gli altri componenti della squadra, meno celebri forse, ma pure loro degni di essere ricordati. Specie se t’attacchi all’aneddoto, al ricordo, al testo breve da scrivere in calce alla cartolina. Quello che questo romanzo, Quattrotretre, vorrebbe essere. Una cartolina ingiallita per i nostalgici del calcio, ma pure per quelli cui proprio non va giù il coro razzista, il campo squalificato e il mortaretto lanciato in campo per festeggiare un gol.

E mentre tutto questo diviene argomento di un dibattito, entrano i soliti ritardatari. Signori attempati, con ombrello e sciarpa in bella mostra, un’avvenente ragazza dalla chioma rosso fuoco e lui, Salvatore Soviero. Grande più o meno il doppio di quel che si vede in televisione, con un inaspettato e sorriso bonario e l’umiltà di chi chiede scusa per il ritardo. Si accomoda in fondo alla sala e si gode quel racconto che lo vede protagonista. Italiano arcaico, citazioni dotte e un’ironia che rende apprezzabile pure i comportamenti antisportivi. Paquito Catanzaro, il ragazzo con la barba che ha appena pubblicato un libro, lo guarda con la venerazione con cui s’osserverebbe una Monnalisa al Louvre oppure un sole che si tuffa, al tramonto, nel golfo di Napoli. Si rivolge a Soviero chiamandolo mister e dandogli del lei. Cosa che non accadeva nemmeno alla Domenica Sportiva, caso mai lo avessero invitato. E Soviero sorride, diventando protagonista inaspettato prima di un libro, poi di un evento culturale, nel quale si dimostra persona di cultura non soltanto sportiva. Racconta di Garrincha, della gavetta fatta sui campetti asfaltati e quelli con il terreno che non lavi via neanche dopo mesi. Dice di Balotelli «È una forza della natura», ma lascia pure intendere che non andrà molto lontano se continua a far le bizze. E racconta che ha scelto in campo il numero8 perché «Lotto». Senza apostrofi, né riferimenti alla cabala. Soltanto il calcio inteso come una battaglia che dura 90 minuti e pazienza se per qualche sciocchezza in passato hai la fama di orco cattivo. Dal vivo è tutt’altra cosa. È un ragazzone capace di emozionarsi quando riceve dalle mani dello scrittore, sempre il ragazzo con la barba di qualche rigo orsono, una copia del romanzo con tanto di dedica. E poi le foto che renderanno eterno questo momento. E i sorrisi e i «Grazie, alla prossima» che si sprecano al termine di eventi come questo. In cui il calcio diviene pretesto per raccontare altro. Storie di vita e di campioni. Ma pure storie di sogni da perseguire. Come quello di scrivere un romanzo. Che costa sacrifici pari a quelli di chi vuol giocare in serie A. La soddisfazione, poi, sarà diversa. Eppure gli occhi lucidi sembrano gli stessi. Quelli che il ragazzo con la barba guarda le strade di Nola. Avvolte da una nebbia che non fa paura. È solo un effetto speciale, piazzato lì, per far partire i titoli di coda.

 

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