Torre Annunziata. Il grido anti-camorra di un altro prete di frontiera si alza forte in piazza Monsignor Orlando e in ricordo di Matilde Sorrentino. E’ l’urlo di don Franco Gallo (57, nella foto), parroco della chiesa “Sant’Alfonso de’ Liguori”. Per lui la morte della mamma, che sfidò i pedofili delle Elementari, è una ferita ancora aperta. Grida vendetta, sanguina. Come le dita scheggiate dalle spine della rosa, che il prete depone sotto il monumento per le vittime innocenti a dodici anni dal barbaro omicidio. “Matilde era una donna esile, senza pretese – sottolinea don Franco in piazza, al megafono, con un filo sottile di voce - . A Torre Annunziata serve più impegno contro la camorra. Preghiamo tutti per una Pasqua che davvero porti, nei rioni in zona sud, un po’ di pace e di serenità”.

PRETE ‘CORAGGIO’. Don Franco ricorda bene l’eco mediatica suscitata dalla sentenza del Tribunale di Torre Annunziata, che nel giugno 1999 condannò 19 persone, coinvolte a vario titolo nello scandalo degli “orchi” al terzo circolo didattico di via Isonzo. Le pene più pesanti furono inflitte a Pasquale Sansone, bidello della scuola del rione Poverelli (15 anni di reclusione) e a Michele Falanga, titolare di un bar (13 anni). Tuttavia, gli imputati vennero scarcerati per la scadenza dei termini di custodia. Tornarono in città, trascorsero poche settimane e in due distinti agguati, il 26 e 27 luglio, Falanga e Sansone furono uccisi. Anche i loro manifesti funebri vennero strappati fuori al cimitero: una Regola d’onore di camorra, il prezzo da pagare per gli abusi su bimbi innocenti.

L’ACCUSA DI VILIPENDIO. Il prete, allora, parlò pubblicamente di “omicidi annunziati” e di “assassini armati dallo Stato”. Fu quindi iscritto nel registro degli indagati per vilipendio, accusa poi archiviata. Don Franco ricevette il sostegno di “Telefono arcobaleno”, ne divenne il presidente. Ma restò senza parole. Adesso le ha ritrovate: “sì, commentai in quel modo i due omicidi prendendomela coi giudici – sottolinea – . Penso ancora che un sistema del genere, che rimandi ai domiciliari i condannati per reati simili e nella stessa città in cui li hanno commessi, non funzioni. Alla stampa risposi soltanto di non sapere chi avesse materialmente ucciso Sansone e Falanga. Dissi però di conoscere chi ne era il responsabile morale”.                

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