Teresa Gionta a capo di un clan decimato e incapace di reagire all’agguato subito dal marito. E’ quanto emerso nelle 346 pagine dell’ordinanza di custodia cautelare firmata ieri dal gip Giovanni De Angelis. La figlia secondogenita di Valentino era oramai assieme al marito a capo della cosca, un tempo egemone a Torre Annunziata.

UN CLAN IN CRISI. Scarcerata dopo un decennio, nel 2019 Teresa Gionta ha preso le redini del clan assieme al marito Giuseppe Carpentieri. Quest’ultimo, appena uscito dal carcere, era stato colpito da un raid il 20 maggio del 2020 mentre si trovava a casa della madre dov’era domiciliato appena terminata la sua lunga pena detentiva.

Dopo essere uscito dall’ospedale Cardarelli, quest’ultimo è stato intercettato nel corso di un colloquio con la moglie. La sorella di Aldo e Pasquale Gionta lamentava di non riuscire a trovare un killer che potessero vendicare l’affronto subito. “Ma chi se li fa trent’anni? Nessuno. Io non vi mangio. Io ora, ci dovremmo ribellare… la famiglia mia. Questa soddisfazione non gliela possiamo dare”.

Inoltre quest’ultima era anche a capo della cassa comune della cosca dei valentini. Teresa Gionta si privava dell’acquisto dei beni per soddisfare il pagamento dei vitalizi.  Il tutto è stato ricostruito dagli inquirenti grazie a altre intercettazioni nei confronti di Salvatore Palumbo, alias ‘o mmaccato, mentre parlava con suo fratello Angelo. Il primo ha riferito dell’inadeguata retribuzione percepita e per le divergenze con l’attuale capo clan per la pianificazione delle ritorsioni armate.

IL RUOLO DELLO STORICO BOSS. Malgrado sia detenuto al 41 bis presso il carcere di Sassari, Valentino Gionta senior ha dimostrato ancora di essere una figura determinante all’interno dell’organizzazione criminale.

A causa del Covid è riuscito a parlare con la figlia Teresa e con il nipote Valentino (suo omonimo) soltanto il 20 aprile del 2021. Valentino Gionta nel corso del colloquio pare ben consapevole di ciò che è avvenuto nei confronti del genero Giuseppe Carpentieri. E si fa spiegare per filo e per segno la dinamica dell’agguato. Inequivocabile il riferimento ai fratelli Cherillo, che volevano vendicare con il sangue la morte del nonno Zi Natalino Scarpa avvenuta il 4 agosto del 2006 all’esterno dello stadio Giraud per opera di Aldo Gionta (appena condannato all’ergastolo in via definitiva).

Chiaro il riferimento anche al raid nei confronti di suo fratello Pasquale. “Io tengo la copia dei processi -ha affermato lo storico boss alzando la voce- E ci sta chi diceva che gli piaceva a fare quella cosa. Ci sta proprio nome e cognome, che già avevano tentato una volta a Pasquale però. Vediamoci più spesso che quale le giornate sono sempre le stesse”:

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