Teresa, Matilde, Carmela, Antonella... volti e storie di mamme coraggio
Il racconto di chi non ha avuto paura di denunciare, in difesa dell'amore per i propri figli
11-05-2019 | di Redazione
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“Mamma, mi aiuti?”, “Mamma, dove sono i miei calzini?”, “Mamma, ho preso un brutto voto a scuola”. Tutte le persone del mondo sono diverse ma hanno in comune almeno una cosa certa: l’amore per la propria madre. La donna punto di riferimento per la vita, capace di un amore incondizionato, anche quando qualche volta ricevono del male dai figli. Quest’anno la Festa della Mamma in Italia ricade domenica 12 maggio e per l’occasione abbiamo deciso di celebrare la figura materna a modo nostro, ricordando l’influenza sociale della “donna della nostra vita”: storie di mamme coraggio che sono morte per difendere i figli, o che, sopravvissute a una tragedia, combattono per onorare la memoria dei cari.
Si racconta che inizialmente questa ricorrenza coincidesse con l’8 maggio, giorno della Festa della Madonna del Rosario di Pompei e che solo successivamente sia stata spostata alla seconda domenica del mese.
Abbiamo ricordato Teresa Buonocore, uccisa a Napoli il 20 settembre del 2010 per vendetta, dopo aver denunciato lo stupratore della figlia e amico di famiglia, Enrico Perillo. Al processo questa mamma coraggio si è costituita parte civile testimoniando contro gli abusi. L’uomo è stato condannato a sedici anni di reclusione da scontare ai domiciliari e successivamente nel carcere di Modena in seguito a un’evasione. Teresa Buonocore è stata uccisa da Alberto Amendola e Giuseppe Avolio, entrambi rei confessi e condannati in via definitiva nel 2014 rispettivamente a ventidue e a diciotto anni. La Corte di Cassazione ha riconosciuto Perillo quale mandante dell’omicidio, condannandolo all’ergastolo. Il 2 giugno 2018 ai familiari di Teresa è stata consegnata la medaglia d’oro al merito civile alla memoria, dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Matilde Sorrentino ha avuto il coraggio di denunciare gli uomini che abusavano di suo figlio e di altri bambini a Torre Annunziata, nella scuola elementare nel Rione dei Poverelli, terra di spaccio di droga e di camorra. A marzo del 2004, a quarantanove anni, è stata uccisa con quindici colpi di pistola, dopo aver aperto la porta di casa al killer. La sua storia è cominciata nel 1997, con la condanna di Pasquale Sansone, bidello, e Michele Falanga, titolare di un bar. I due, dopo essere stati scarcerati per la scadenza dei termini di custodia cautelare, sono stati uccisi. La camorra li aveva puntiti. Ma durante il processo, Matilde Sorrentino aveva commesso lo “sgarro” che le è costata la vita: dopo aver testimoniato con grande coraggio, ha sputato verso i pedofili. Tra loro c’era anche Francesco Tamarisco, legato agli ambienti della camorra, che però era stato prosciolto dall’accusa di pedofilia. Negli anni successivi è invece stato arrestato, identificato dagli inquirenti quale mandante dell’omicidio di Matilde. Forse perché quello sputo, Tamarisco, non se l’è mai levato di dosso. Il movente dell’omicidio sarebbe stato il rancore di Tamarisco nei confronti di Matilde, che con la sua denuncia aveva fatto arrestare e condannare diciassette persone. L’esecutore materiale dell’omicidio di questa mamma coraggio, è stato identificato in Alfredo Gallo, quarant’anni, condannato all’ergastolo in via definitiva.
Singolare è la storia di Carmela Sermino, mai riconosciuta come vittima di camorra perché non si è ancora riusciti, ad oggi, a trovare i killer del marito Giuseppe Veropalumbo. La notte di Capodanno del 2007 l’uomo, carpentiere di professione, è stato ucciso da un proiettile vagante mentre si trovava vicino alla finestra di casa con in braccio Ludovica, la figlia che allora aveva diciotto mesi. Dopo la tragedia Carmela si è trasferita ad Acerra dalla sua famiglia ed è rimasta da sola con la sua bambina, dividendosi tra il lavoro, il dolore e i suoi cari. “Andare avanti è stato difficile”, ha raccontato. Oggi è assessore allo Sviluppo della Terza Municipalità di Napoli. Tutti i giorni porta avanti la sua battaglia per dare voce alla morte di Giuseppe e contro la camorra. “In occasione della Festa della Mamma rivolgo il mio pensiero a chi come me ha attraversato o sta attraversando momenti difficili. Mamme sole, in balia degli eventi e di gente senza scrupoli. Occorre reagire alla vita e non arrendersi mai. Bisogna non perdere mai l’ottimismo e credere in un domani migliore. Un domani che dobbiamo essere noi a costruire con sacrifici e forza. Alle mamme che hanno perso i figli troppo presto e vivono nel dolore, mando un abbraccio immenso: non mollate mai, abbiate fede e tornate a sorridere per amore di chi vi aspetta in un mondo migliore”. Oggi Ludovica ha dodici anni e frequenta la classe seconda media. Lei è la figlia coraggio di Giuseppe Veropalumbo: “L’ho tenuta sempre lontana dai riflettori – ha spiegato Carmela – Il suo dolore era già troppo grande. Io sono stata sua mamma e suo padre e anche se lei non ha ricordi veri e propri di Giuseppe, perché quando è morto era piccola, ha subito un trauma. Abbiamo intrapreso un percorso psicologico e oggi sta bene. Studia danza da quando era piccolissima ed è molto brava a scuola. L’altro giorno ha avuto un bel voto in letteratura italiana, su La Divina Commedia di Dante. Le ho detto: “Brava! Io odiavo Dante!”. Suo padre sarebbe stato fiero di lei”.
Antonella Leardi è la madre di Ciro Esposito, il giovane tifoso del Napoli ucciso da Daniele De Santis, ultras romanista condannato a sedici anni di reclusione nel giorno della finale di Coppa Italia tra Fiorentina e Napoli, il 3 maggio 2014. Per una madre, affrontare la perdita di un figlio è innaturale. Antonella ha ritrovato il coraggio portando avanti un messaggio di pace nelle scuole e nelle carceri: “Quando si sopravvive alla morte di un figlio, la vita cambia. Io sono andata avanti grazie alla fede in Dio, diffondendo un messaggio di pace. Ci riempiamo la bocca di belle parole, ma nei cuori deve arrivare la pace di Cristo. Tutti i giorni io e la mia famiglia testimoniamo l’amore e oggi occupo il tempo che avrei dovuto impiegare per Ciro incontrando gli studenti e i carcerati, per spiegare loro perché cose del genere non debbano accadere”. Antonella ricorda Ciro, ventinove anni, come un “ragazzo altruista, pieno di vita e di quei valori che oggi stanno sfumando, come quello della famiglia. Avrebbe dovuto sposarsi, amava i bambini e gestiva un autolavaggio riqualificato da figli e genitori a Scampia, in un luogo che prima era ritrovo di tossici e pusher”. I ricordi di Antonella sono tutti vividi, soprattutto quello del suo cinquantesimo compleanno quando Ciro era vivo: “Mio marito e i miei figli mi hanno fatto una sorpresa, dedicandomi una serenata sulle note di Champagne, canzone di Peppino di Capri”. Ma come si fa ad affrontare un tale dolore? “Anche se si sta insieme, in famiglia, si è soli con un dolore immenso – ha raccontato – Ma bisogna parlare, non chiudersi mai. Il Signore mi ha dato una forza che non sapevo nemmeno di avere. Sono una donna molto riservata ma Dio mi ha dato permesso di testimoniare anche esponendomi attraverso i media, non solo per reagire, ma perché quello che è successo a mio figlio non deve accadere più”. Ma il perdono è possibile? Secondo Antonella sì: “Io l’ho perdonato (De Santis ndr.) Se avessi avuto una carica di odio sarei diventata una bestia. Ognuno affronta il dolore a suo modo e non giudico nessuno, ma secondo me, con la rabbia nel cuore si genera solo altro odio. La mia famiglia piange ancora come se fosse successo ieri. Ma i miei figli hanno una grande serenità nel cuore”.
Maria Luisa Iavarone è la mamma di Arturo, il diciassettenne accoltellato a Napoli in via Foria. Suo figlio è morto, vittima di una baby gang, quasi sgozzato. I responsabili di questo gesto sono stati presi e la sua storia è un intreccio perfetto tra bullismo e criminalità minorile. Maria Luisa è una mamma coraggio che dopo la morte di suo figlio ha deciso di esporsi per denunciare, affinché non accada più quello di cui Arturo è stato vittima, ma anche lei e il resto della famiglia.
Maria Teresa Giglio è la madre di Tiziana Cantone, la giovane che si è suicidata dopo che un suo video hot ha fatto il giro del web in tutto il mondo. Quella di Tiziana, come spiegato dalla madre più volte, è una storia di violenza psicologica che sarebbe stata perpetrata dal suo ex fidanzato, inducendola a girare quel video col ricatto velato: “O lo fai o ti lascio” e di cyberbullismo, a causa dei commenti violenti al video su internet, e non solo. Maria Teresa ha prestato la sua testimonianza per un libro, Uccisa dal web, scritto dal giornalista Luca Ribustini e l’avvocato Romina Farace. La sua lotta di mamma coraggio va avanti dal tragico giorno della morte di Tiziana ed è arrivata fino al Parlamento per ottenere una legge che tuteli le vittime come sua figlia. Si chiama Revenge Porn, approvata dalla Camera, è in attesa di passare in Senato.
Le Mamme Vulcaniche sono un gruppo di donne che hanno deciso di associarsi nel 2010 in difesa dei loro figli e del territorio Vesuviano, martoriato dalla discarica Cava Sari, situata a pochi metri dal Parco Nazionale del Vesuvio. Anche grazie alla loro lotta, l’ecomostro è stato chiuso ed è stata scongiurata anche l’apertura di un’altra potenziale discarica, Cava Vitiello, che era prevista nel piano di emergenza dei rifiuti di allora, con una legge che ne vieta l’utilizzo a ricettacolo di rifiuti. “Siamo scese in piazza per difendere il futuro dei nostri figli. Ormai l’ambiente è danneggiato, la terra e l’acqua sono compromesse, ma dovevamo salvare il salvabile”. Nel corso degli anni, alcune di loro hanno perso familiari vittime di tumori e negli ultimi tempi hanno perso una delle loro “combattenti”, Antonietta Raiola: “Stiamo vivendo un dolore fresco e difficile da digerire. Non ci rimane che continuare a combattere e incentivare tutti, e le donne in particolare, alla prevenzione dei tumori”, ha spiegato Mina Esposito, la presidente delle Mamme Vulcaniche.
A cura di Giovanna Sorrentino
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