Torre Annunziata, da ieri, è una città blindata dalle forze dell'ordine. Il motivo è semplice: 150 persone, giovedì mattina, saranno sfrattate dal pericolante Palazzo Fienga, la roccaforte del clan Gionta, per entrare nei box di via Tagliamonte e nella scuola elementare di via Isonzo. Un segnale chiaro dell'Amministrazione e del Prefetto alla camorra. Sette delle 39 famiglie totali, colpite dall'ordine di sgombero, hanno intanto già lasciato spontaneamente l'immobile di via Bertone (vedi foto scattata stamattina, ndr).

All'imposizione "l'anti-stato" ha comunque reagito, ed in modo duro. Intimidazioni dirette al sindaco, Giosuè Starita, ed al consigliere del Pd, Lello Ricciardi, a parte, la scorsa notte ignoti avrebbero provato a forzare il portone d'ingresso di Palazzo Criscuolo, sede del Comune oplontino. I politici non confermano, nè smentiscono. Sulla vicenda farà chiarezza la Polizia di Torre Annunziata. Di certo, quella di oggi, è una giornata ricca di tensione.

STARITA INCONTRA LE MAMME Tensione iniziata di buon ora. Sono le 8 quando le mamme degli alunni del plesso di via Isonzo ai "Poverelli", in protesta contro l'Amministrazione, bloccano l'ingresso dei loro figli a scuola. "Non vogliamo che la scuola ospiti gli sfrattati" urlano, prima di mettersi in marcia verso il Comune per incontrare il sindaco Starita. Una delegazione di 4 mamme è ricevuta dal primo cittadino che parla con loro e col reggente pro-tempore della scuola, il preside Benito Capossela.

IL COLLOQUIO L'incontro dura circa mezz'ora. Starita assicura che "la soluzione è solo momentanea", sottolineando tuttavia come "ora c'è bisogno di piena solidarietà anche agli sfrattati". Le mamme in protesta vanno via deluse, ma portano a casa un risultato: a scuola ci saranno due ingressi diversi. Uno per gli alunni, l'altro per le famiglie sgomberate. I tecnici del Comune effettuano un sopralluogo-lampo: la soluzione c'è. La prima grana pare risolta. Il resto, invece, è una storia ancora tutta da scrivere e raccontare. Almeno per altri due lunghissimi giorni.


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La protesta