“Io, Marica, Silvia e Barbara siamo amiche e facciamo le escort. Quel giorno a via Plinio Barbara e Silvia ebbero due incontri. Me lo dissero di là in cucina, io avevo la febbre, stavo male e dormivo sul divano. Silvia è di Lecce ma era a Torre da una settimana. Mi raccontò di aver messo un annuncio su un giornale, forse su una rivista. L’annuncio offriva un incontro di natura sessuale e un ragazzo rispose”. Parla così oggi a processo Angel Verardi, in arte ‘Ramona’, svizzera classe ’79, ma con casa a Vicenza.

IL RACCONTO “Angel è il mio nome da uomo. Sono un trans, tutti mi chiamano Ramona”, continua a spiegare, tesa per i continui richiami del giudice Maria Rosaria Aufieri, che in aula spesso le ricorda di dire “tutta la verità, nient’altro che la verità”, pena un’imputazione per falsa testimonianza nel processo a carico di Mario Casamento, Marica per gli amici, accusato di favoreggiamento della prostituzione dopo il blitz del 24 novembre scorso della polizia nella presunta casa del sesso di via Plinio, al confine tra Torre Annunziata e Pompei.

LA SCOPERTA I militari, quel giorno, scoprirono una sorta di alcova del piacere a sette metri dalla chiesa di Croce di Paselle, sequestrando dopo l'irruzione a via Plinio quasi duemila preservativi al gusto di mela, giochi erotici, maschere, lingerie di pizzo e circa ottocento euro nascosti in un borsello di pelle arancione. Soldi in cambio di sesso da consumare lì, in un paio di stanze a due passi dalla Chiesa. Questa l’ipotesi dei pm.

IL PROCESSO A gestire la presunta casa del sesso facile e a pagamento - per l'accusa -  un altro trans, Marica, “che conoscevo solo da un mese. Io a novembre venni a Torre in aereo per il compleanno. Barbara arrivò invece in treno, era la prima volta che veniva ospitata a via Plinio. In cucina, quasi mentre dormivo, disse: mi sono vista con un amico e ho avuto un rapporto”.     

Ramona è biondissima, riccia, elegante. Sceglie un sobrio ‘tailleur’ nero, orecchini cascanti e scarpe grigie basse per il suo racconto che continua, segnando oggi in aula “Siani” al Tribunale una sorta di ‘successo’ per l’accusa: “Anche Silvia, prima che arrivassero i poliziotti, incontrò un ragazzo. Non avevo l’orecchio teso, mi feci i fatti miei per discrezione, ma sentì il citofono. Non vidi nulla, perché quel giorno faceva freddo e la cucina col camino acceso è l’unica stanza riscaldata della casa. Poi Silvia mi parlò dell’annuncio. Lo aveva messo lei, prima di tornarsene a Lecce”.   

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