Trentasette anni e mezzo di galera per estorsione aggravata dal metodo mafioso. Questa oggi la ‘stangata’ della Cassazione nei confronti di sei esponenti dei clan Gionta e Gallo di Torre Annunziata, che nel 2009 strinsero un vero ‘patto d’onore’ camorristico, insolito ma necessario nelle torbide logiche criminali, per ‘spartirsi’ il pizzo da chiedere alle imprese del Polo Nautico di Rovigliano. La sentenza emessa dalla sesta sezione della Suprema Corte, a Roma, è una sostanziale conferma delle richieste fatte ieri, prima di una lunga camera di consiglio, dal Procuratore generale ai giudici.

LE CONDANNE Otto anni a testa per Maurizio Perna (34) e Francesco Iapicca (50), sei invece per il 41enne considerato l’esattore dei Gallo Ludovico Lamberti e Raimondo Bonfini (24). Condannato a cinque anni e mezzo anche il baby-boss dei ‘Valentini’, Salvatore Paduano, ex reggente dei Gionta e ricercato per tre anni, per associazione a delinquere di tipo mafioso, estorsioni, rapina e violazione alle legge sulle armi, prima del suo eccellente arresto ad Angri nel 2012 (in foto, il baby-boss in manette). Quattro anni di galera, infine, al ‘pentito’ di camorra Salvatore Di Nocera (35).

IL PROCESSO Oggi si può dire. A vincere è soprattutto il coraggio di un imprenditore, Pasquale Esposito, il titolare della ‘Nautica Rovigliano’ che nel 2010 ruppe il velo di omertà, denunciando ai carabinieri del comando di Torre Annunziata il pizzo ai suoi danni. Da quel racconto dettagliato, “pagai prima 9mila euro ai Gallo-Cavalieri, poi 9mila e 500 euro ai Gionta, scrivendoli sul mio registro come pagamento attrezzature”, svelò l’imprenditore noto per la sua tenacia come ‘Garibaldi’ agli inquirenti, scattò il blitz delle forze dell’ordine.

Undici persone (otto tra i Gionta, tre tra i Gallo, uno di questi era Tullio Calabrese, che come emerso dall'inchiesta ricevette 9mila euro dopo un appuntamento preso con la vittima nella sua casa di Corso Vittorio Emanuele) finirono in manette, accusate a vario titolo anche di associazione a delinquere di stampo mafioso e detenzione di armi. Quasi tutte, oggi, hanno scontato le pene subite poi a processo in primo e secondo grado.

Quel racconto-choc, zeppo di particolari, cifre e aneddoti oscuri, ‘Garibaldi’ lo ribadì in tribunale, nonostante le continue intimidazioni subite per zittire la sua sete di giustizia. Le richieste di ‘clemenza’ delle donne dei clan e l’esplicito messaggio lanciatogli dalla camorra, col danneggiamento di parte del suo ufficio, non lo fermarono.

‘Garibaldi’ andò avanti, descrivendo tutto per filo e per segno. Anche le imposizioni di ‘gente da assumere’ in ditta e le ultime due maxi-rate da 40mila euro l’una, richiestegli dalle nuove leve in ascesa dei clan. La sua sete di giustizia fu accolta dall’entusiasmo misto a sorpresa delle ‘persone per bene’ di Torre Annunziata. Oggi sì, può dirsi: Garibaldi’ vince di nuovo.

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