Torre Annunziata. Mancanza di strategia e di una “direzione unitaria”. Boss e capi tutti in cella, cosca decapitata. Ma resiste al vertice della camorra di Torre Annunziata. E’ il clan Gionta di via Bertone, che resiste soprattutto grazie a un ruolo “di primo piano riconosciuto alle donne”. Lo scrive la Dia, nella relazione sul secondo semestre 2015, pubblicata nelle ultime ore e diretta dal Ministro dell’Interno al Parlamento.

L’ANALISI. Poche le sorprese evidenziate nelle oltre 290 pagine della relazione. Ad emergere è in sostanza la “tenuta” della “famiglia Gionta, attiva nelle estorsioni e nei traffici di sostanze stupefacenti”. Clan che secondo la Dia continua a condividere con il gruppo Chierchia-Fransuà non solo interessi illeciti, ma anche la rivalità con i Gallo-Limelli-Vangone, che gestiscono invece il traffico di droga nella piazza di spiaccio del Piano Napoli di Boscoreale. Sempre a Torre Annunziata, infine, opera il gruppo Tamarisco, dedito anche alle armi, con l'appoggio dei Cesarano di Pompei.

LE DONNE. Col fondatore della cosca Valentino senior (oggi ergastolano) e i suoi due figli Aldo il “poeta” e Pasquale “’o chiatto” da tempo spediti al 41-bis, a comandare il clan Gionta sono ora le donne. “Lo stato di tensione nel territorio torrese è sfociato nel tentato omicidio della sorella del capoclan, nonché madre di un altro elemento di spicco, che aveva assunto un ruolo di vertice”, sottolinea ancora la Direzione Investigativa Antimafia.

L'episodio è noto, soprattutto in città. La vittima dello “sfregio”, il 18 luglio 2015 all’interno della sua abitazione in Largo Grazie, fu Carmela Gionta, 69 anni, sorella del boss Valentino ed appena condannata per associazione mafiosa, tentata estorsione ed usura. Il figlio è invece Aldo Agretti, per un anno latitante, finito in manette al centro di Pompei pochi minuti prima di un appuntamento. Per le lesioni sono state condannate anche le altre donne dei Gionta, tutte legate al boss poeta Aldo. Si tratta di Annunziata Caso, Pasqualina Apuzzo e Gemma Gionta, rispettivamente moglie, suocera e figlia di “Aldulk il ribelle”. Tutte condannate, le ultime due sono tornate in libertà. La sentenza, emessa il 6 luglio scorso dal gup del tribunale di Napoli, ha riconosciuto al Comune di Torre Annunziata 1800 euro di risarcimento per danno all’immagine.

AL VERTICE ANCHE ALTROVE. Donne al “comando” anche nella vicina città di Castellammare di Stabia. A tracciare una sorta di parallelismo con la realtà torrese è sempre la Dia: “A Castellammare le attività illecite del gruppo D’Alessandro sarebbero dirette da familiari del capo clan e, come per il sodalizio Gionta, un ruolo di primo piano è riconosciuto alle donne”.  Il tutto – secondo la Direzione Investigativa antimafia – rappresenterebbe il segnale di una vera e propria “emancipazione criminale delle donne di camorra, da ritenersi non più solo serventi alle strategie dell’organizzazione, ma in grado di pianificare e orientare, sotto il profilo militare ed economico, le attività della famiglia”. Il fenomeno sarebbe confermato dall’omicidio, avvenuto il 10 ottobre 2015, della sorella del capo del gruppo D’Amico di Napoli.


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