Torre Annunziata. Dallo ‘spettro’ vicinissimo del carcere minorile, al riscatto nella vita e in società grazie allo sport il passo, a volte, può davvero essere breve.

LA STORIA DI GIUSEPPE. Ce l’ha fatta oggi Giuseppe, nemmeno 18 anni compiuti e alle spalle già tre rapine, commesse ai danni dei titolari di distributori di benzina del Vesuviano coi suoi amici ancora adolescenti. Dopo un anno di durissima preparazione Giuseppe, che sottoposto alla messa alla prova da sei mesi vive presso la comunità di recupero ‘Mamma Matilde’, gestita in via Margherita di Savoia a Torre Annunziata dal salesiano don Antonio Carbone, ha partecipato alle regate conclusive del Campionato Nazionale di categoria ‘555’.

Un progetto di recupero, attraverso il mare, voluto dall’Amministrazione Penitenziaria di Nisida e dalla ‘Scuola Vela delle Fiamme Azzurre’. Le finali si sono svolte oggi a Termoli. Vitto e alloggio gratis: tutto offerto dal ‘Centro di Solidarietà e Accoglienza dei SS. Martiri’ di Larino. Giuseppe, dopo le finali, ha fatto ritorno alla base. Ad attenderlo sulla terraferma il suo ‘angelo custode’. Don Antonio Carbone.

“Non sarà arrivato primo, ma per me ha vinto lo stesso – sottolinea quasi in lacrime il parroco salesiano - . Soltanto sei mesi fa, Giuseppe metteva a segno tre rapine nel giro di tre giorni. Adesso è tornato a scuola, lavora in un’officina meccanica e a Termoli, al posto delle rapine, in tre giorni ha fatto tre regate”.

MOHAMED E LAMIN. A gareggiare, con Giuseppe, i suoi compagni che lui stesso definisce “gli stranieri”: Mohamed e Lamin, entrambi 16enni. Nessun problema con la giustizia stavolta. No. “Gli stranieri”, da quasi due anni, sono ospiti di ‘Mamma Matilde’ perché scappati dalla fame e dalla guerra. Dall’Egitto e dal Gambia, le loro Terre d’origine, ‘divorate’ di continuo anche dalle lotte intestine tra le tribù. Mohamed e Lamin quasi sono vivi per miracolo.

Hanno attraversato il deserto insieme, imbarcandosi dalla Libia verso l’Italia a bordo di un barcone. Il classico ‘viaggio della speranza’ che poteva finire in tragedia. A Lamin, sotto gli occhi, gli scafisti hanno ammazzato l’amico del cuore: non aveva i soldi per pagare e ‘boom’. Sparato, abbattuto senza pietà. Come si fa con i cavalli ormai zoppi.

A salvare Mohamed e Lamin, per fortuna, prima la Capitaneria di Porto. Poi, l’accoglienza di don Antonio: “Anche loro, con fatica, lentamente, stanno riabbracciando la vita dopo le violenze patite”, sottolinea il parroco. “Oggi sono davvero orgoglioso”. Felice, sì. Per Giuseppe, Mohamed e Lamin. Tre ragazzi che, giù dal podio, oggi in regata hanno vinto lo stesso.

 

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