Torre Annunziata-Ercolano, omicidio Pinto. Il pm: "Quattro ergastoli per la faida di camorra"
Guerra tra clan per il controllo dello spaccio. L'accusa: "Fine pena mai anche a Gioacchino Sperandeo"
04-11-2016 | di Salvatore Piro

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Omicidio Gaetano Pinto: il pm della Dda di Napoli, Lucio Aschettino, ha invocato quattro ergastoli per altrettanti uomini di spicco del cartello criminale, costruito sull'asse Ercolano-Torre Annunziata tra i clan Birra-Iacomino e Gionta, alleati contro i rivali degli Ascione-Papale per il controllo dello spaccio di droga nel Vesuviano.
L'accusa, nel processo in corso con rito abbreviato, ha chiesto ai giudici il "fine pena mai" per Ciro uliano "ciu-ciu", uomo di punta dei Birra; per i boss di Ercolano Giacomo e Stefano Zeno (nella foto) e per Gioacchino Sperandeo, affiliato invece al clan oplontino. Proprio Sperandeo - secondo la ricostruzione degli inquirenti - fece parte del commando di fuoco, costruito assieme ai Gionta per eliminare Pinto, pregiudicato degli Ascione-Papale morto nella sua casa di Ercolano - il 19 maggio 2007 - durante la feroce stagione della faida di camorra apertasi nel Miglio d'Oro.
Sperandeo, difeso dall'avvocato Giovanni Tortora, per il pm guidò la moto che, partita da Torre Annunziata, servì a trasportare il killer: Michele Palumbo "munnezza", 46 anni, l'ultimo pentito dei Valentini. Anche Palumbo è alla sbarra per l'omicidio Pinto, ma in un diverso processo che sta celebrandosi in ordinario. Insieme al pentito, che con le sue rivelazioni ha chiarito all'antimafia i retroscena del delitto, imputati anche il boss Pasquale Gionta "'o chiatto", fratello di Aldo "il poeta ribelle", Vincenzo Lucio, Luca Langella, Simone Borrelli e Lorenzo Fioto. Tutti, tra mandanti ed esecutori materiali, destinatari di un'ordinanza di custodia in carcere emessa dal gip il 16 dicembre 2015.
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IL DELITTO. Qualcuno doveva fingersi acquirente di droga ed "ingannare" la vittima: occorreva un piano. Fu deciso così dai "capi" dei Gionta e del clan Birra-Iacomino per uccidere Gaetano Pinto. Il fedelissimo degli Ascione-Papale, infatti, sapeva di essere l'obiettivo numero uno del super boss Giovanni Birra. Gli davano la caccia, il boss e i suoi sodali. Lui l’aveva intuito.
Un "bacio" fu il segnale per il killer. L'uomo utilizzato per far introdurre i cecchini dei Gionta nella casa della vittima, al momento del "saluto", riuscì a tenere aperta la porta. Il commando entrò. Pinto da quel "bacio" capì subito il segnale e il suo destino. Gli mancò soltanto il tempo. Una raffica di proiettili lo uccisero in pochi istanti, sull'uscio della propria abitazione di Corso Umberto.
Nell’altra stanza della casa c’erano sua moglie e sua figlia, di soli due anni. Il massacro - secondo la versione dell'accusa - fu sancito dalla storica alleanza stipulata tra i Birra di Ercolano ed i Gionta di Torre Annunziata. L'ordine di uccidere, per il pm, arrivò infatti col benestare dei fratelli Zeno e di Pasquale "'o chiatto".
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