Fatou Diako lotta per un mondo in cui la frase 'aiutiamoli a casa loro' non sia mai più pronunciata. I racconti dell'attivista squarciano il velo dell'indifferenza, catapultando gli studenti dell'Istituto Marconi di Torre Annunziata nell’amara realtà della discriminazione.

“Non sono né un’immigrata né una rifugiata. Sono una persona, nient’altro che questo. Anche se vivo in Italia da 22 anni si dà per scontato che io non sia integrata perché ho la pelle nera. Non voglio etichette addosso, io ho un nome e un cognome: sono Fatou Diako”.

L’attivista ivoriana-napoletana è Presidente della Consulta degli Immigrati di Napoli e dell’Associazione Articolo 21 Campania. Ad oggi è portavoce di una rete regionale di solidarietà aperta a tutti. Artefici dell'importante incontro-dibattito la preside Agata Esposito e le professoresse Leonia e Carmela Carotenuto. Le insegnanti sono al timone del progetto “Cinema-Scuola” dall'anno scorso. Un’iniziativa vincente che punta a trasformare il Marconi in un autentico laboratorio sociale. Dal palco dell'Aula Magna, dopo aver guardato insieme il film 'Selma - La strada per la libertà - Fatou Diako risponde alle domande degli studenti, ansiosi di ascoltare i dettagli delle sue battaglie politiche.

Il Governo è sordo, non capisce l’entità del problema. Chiedono agli stranieri di non venire in Italia perché non sono i benvenuti. Ma a voi chi dice di venire da noi a radere al suolo il nostro paese? Chi scappa lo fa per sopravvivere perché non ha scelta. Se scoppiasse il Vesuvio, voi cosa fareste? Ve lo dico io, scappereste. Questa è una lotta difficilissima, ma io non mi arrenderò”.

Per l’ennesima volta i cancelli dell’istituto scolastico si spalancano per accogliere chi lotta per cambiare il mondo. Le tematiche più delicate sono sdoganate tra i banchi di scuola, nella speranza che gli studenti sviluppino una coscienza critica. L’incontro con Fatou Diako è un’occasione per entrare nel vivo delle problematiche legate all’immigrazione. Dagli infiniti iter burocratici alla stigmatizzazione cronica: l’attivista prende per mano i ragazzi e li conduce nel labirinto senza luci del razzismo.

“Ottenere il permesso di soggiorno in Italia è complicatissimo. Non c’è lavoro nemmeno per gli italiani e l’introduzione del Reddito di Cittadinanza lo dimostra. Com’è possibile che per avere quel documento si debba avere un contratto di lavoro? Se solo ci fosse la volontà, il problema sarebbe risolto in un secondo. La prova è la mobilitazione sociale e politica scattata per i rifugiati ucraini per cui le procedure sono state agevolate in tempi record”.

Dopo avere sfidato la morte in mare non c’è tregua per gli immigrati, la discriminazione è dietro l’angolo di ogni strada. E intanto mentre la società coltiva pregiudizi, gli stranieri vagano come fantasmi, trascinandosi dietro un'identità che si scolorisce sempre di più. L’integrazione è una chimera e il futuro una scommessa. “Io li vedo tutti i giorni a Piazza Garibaldi, sono schiavi della droga e pedine della malavita. Anche queste sono vite distrutte. Quando a vincere sono stereotipi e pregiudizi l’epilogo non può essere che questo. Dobbiamo lottare insieme per cambiare il futuro una volta per tutte”.

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