Torre Annunziata. “Ogni volta parto piena di gioia ma ritorno a pezzi. In Africa ho visto di tutto. Bambini senza gambe, perché una mina esplosagli accanto gliele ha tolte. Denutriti. Io li opero e il loro addome si riapre, anche tre volte. Allora prendo il bisturi, di nuovo. Ma aspetto che torni la corrente in ospedale. E se il black-out è lungo qualcuno muore di setticemia. In valigia metto solo medicine, caramelle, biscotti. Un giorno tirai fuori un ‘Grancereale’. Mi accerchiarono in 20. I bambini non litigarono per il biscotto, no. Lo divisero in 20 parti. Uguali. Ecco perché ogni anno vado in Africa. Quel viaggio restituisce senso al mio lavoro”. Lei è Emilia Polimeno, 37 anni da via Alfani, Torre Annunziata, professione medico.

Laurea con lode alla “Sun” di Napoli, specializzazione in Chirurgia Toracica, un concorso vinto all’ospedale “Cardarelli” e un chiodo fisso: l’Africa e i suoi bambini violentati da fame, miseria, lotte intestine tra tribù. Emilia c’è stata laggiù, cinque volte: 4 in Burkina Faso, una sola in Burundi. E’ ritornata a Torre Annunziata ad ottobre. Partirà ancora in autunno, ma non per il Burundi. Perché lì c’è la guerra, gli attentati degli “Hutu” contro i “Tutsi” e viceversa. Gli attentati prendono di mira i ponti. I ponti saltano. Anche quello che collega il Villaggio all’ospedale della Capitale. Dove Emilia svolge la sua missione: salvare vite umane. Un ponte saltato in aria, la corrente che va via, il tempo che ti sfugge tra le mani. E’ un attimo. E il bimbo di 11 anni, che hai appena operato ma ha bisogno di altre cure, ti muore sotto gli occhi.

“E tu sei inerme – continua Emilia – . Per giorni ti ripeti ‘è colpa mia, potevo fare di più’. Su facebook ho ancora la sua foto, ma in Burundi non ritornerò. La guerra incattivisce la gente, anche in Africa, dove per sentirti una persona pulita non hai certo bisogno del bagnoschiuma”. Il primo viaggio, in Burkina Faso, Emilia da via Gino Alfani lo ha fatto contattando una Onlus, la “Bartolomeo Petrucci” di Castellammare di Stabia. Poi la svolta. “Quella di Castellammare era una delle poche associazioni serie, ma le ‘Onlus’ hanno le mani in pasta dappertutto e a volte sono poco attente alle esigenze sanitarie – continua la giovane dottoressa - . Io volevo medicine. Una volta mi fu detto ‘no, dobbiamo costruire una casa-famiglia’’. Emilia non si è arresa. Per aiutare la sua Africa ha “bypassato” anche le Onlus. Come? Gettandosi su internet. Una e-mail inviata all’ex primario del “San Leonardo”, che in pensione ha deciso di “sposare” il Continente Nero e via. Si riparte. Stavolta senza “condizionamenti”.

“Sono stata sua ospite all’ospedale di Mivo, gestito da diverse suore. Tutte dottoresse. Le medicine mi sono finite in 6 giorni, ma ora so come fare. In Africa non devi permettere che il paziente porti la ‘tachipirina’ a casa.  Il giorno dopo la ritrovi sulle bancarelle del mercato. Barattano i farmaci in cambio di un pezzo di pane. Chi sta male deve venire in ospedale. Lo curi solo così. Altrimenti, fa lo scambio per la fame”.

Emilia Polimeno, oggi, è medico per vocazione. La passione le è tornata proprio in Burkina Faso dove – come scrive sul suo profilo facebook – “l’unica richiesta che ti viene fatta è amare. Al Pronto Soccorso di Napoli, invece, chi arriva chiede subito il tuo nome. Perché? Si premunisce, è pronto a denunciarti se qualcosa dovesse andare storto. Il medico, qui da noi, è un semplice lavoro. In Africa è una missione h24. I bambini lo sanno, ma pure gli anziani. Te lo riconoscono, ti pagano con le noccioline. E’ in Africa che ho davvero ridato senso al mio lavoro”.

foto facebook

 

 

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