“Un calcio che metta da parte i soldi e rispolveri i sentimenti”. È questo il tema centrale dell’ultimo libro di Riccardo Cucchi, dal titolo “Un altro calcio è ancora possibile”, nel quale mette a nudo la situazione in cui si trova attualmente il mondo del calcio e come invece poter tornare a un mondo fatto di passione e di valori.

Cucchi, giornalista sportivo e voce storica del programma radiofonico “Tutto il calcio minuto per minuto”, è stato ospite ieri pomeriggio nel salotto di “Insieme nelle bellezze" kermesse organizzata dall’associazione “Caffè letterario Nuovevoci”, giunta alla seconda edizione e che ha visto la partecipazione di tutte gli istituti superiori oplontini. Nell’incontro tenutosi all’Istituto Marconi, Cucchi ha raccontato del suo lavoro e del libro attraverso aneddoti come ad esempio quello che gli ha visto raccontare la vittoria dello scudetto da parte della Lazio, squadra per il quale ha rivelato di fare il tifo dopo essersi ritirato.

“Voglio in qualche modo esprimere un grido di dolore, da appassionato di calcio, per quelle che sono secondo me le deviazioni del calcio contemporaneo” -  ha dichiarato l’ospite ai nostri microfroni, proseguendo poi – “Ma anche una speranza di poter far vivere il calcio secondo quelli che sono i suoi parametri fondamentali, e cioè l’etica, i valori, la tutela dei diritti, la capacità di inviare messaggi e soprattutto di rispettare i sentimenti. Credo che in questo momento il calcio sia troppo vittima dei soldi.”

All’interno del libro Cucchi parla di vari temi riguardanti il calcio moderno, come l’incapacità di affrontare il razzismo o come tutto giri intorno al denaro, portando l’esempio come una volta le partite si giocassero tutte alla stesa ora per poter permettere alle persone di seguirle attraverso la radio, mentre invece oggi, le partite giochino tutte ad orari differenti per volontà delle televisioni.

Ma anche l’esempio degli ultimi mondiali in Qatar, che a detta di Cucchi “sono stati molto difficili da guardare sapendo cosa ci fosse dietro”. Una competizione che è costata la vita a più di 6000 persone a causa delle pessime condizioni di lavoro al quale erano costrette per la realizzazione degli impianti. Eppure, ci sarebbe tanto altro, se solo ci si concentrasse sui valori e si facesse a meno dell’insaziabile fame di profitto che sta macinando diritti e speranze. Basterebbe ricordare com’era calciare un pallone da bambine o bambini. Cominciare da lì e riappropriarsi di quella dimensione popolare che sfruttava l’occasione sportiva per parlare della società, alla società. Ripartire dal rito del gioco e dalle persone che vi prendono parte, in campo e in tribuna, per guadagnarne in solidarietà, rispetto, amicizia, vicinanza.

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