“Ho pianto di gioia. E’ stata un’emozione fortissima però non si tratta di una vera e propria vittoria. Ora possiamo coltivare la speranza che l’assassino di mio marito abbia dopo 12 anni un nome”.

E’ il grido di soddisfazione di Carmela Sermino, dopo aver appreso della riapertura delle indagini per scoprire chi ha ucciso suo marito Giuseppe Veropalumbo il 31 dicembre 2007. La sua storia è davvero singolare: mai riconosciuta come vittima di camorra perché non si è ancora riusciti, ad oggi, a trovare i killer del marito Giuseppe Veropalumbo.

La notte di Capodanno del 2007 l’uomo, carpentiere di professione, è stato ucciso da un proiettile vagante mentre si trovava vicino alla finestra di casa con in braccio Ludovica, la figlia che allora aveva diciotto mesi. Sono tre i presunti responsabili del gesto: tre ragazzi, all’epoca minorenni, tutti rampolli del clan dei Valentini.

Dopo la tragedia Carmela si è trasferita ad Acerra dalla sua famiglia ed è rimasta da sola con la sua bambina, dividendosi tra il lavoro, il dolore e i suoi cari. “Andare avanti è stato difficile”, ha raccontato. Oggi è assessore allo Sviluppo della Terza Municipalità di Napoli. Tutti i giorni porta avanti la sua battaglia per dare voce alla morte di Giuseppe e contro la camorra.

La decisione del giudice Paola Brunese ha riaperto quel barlume di speranza che Carmela Sermino ha coltivato per anni, talvolta in silenzio, talvolta urlando ma mai sopra le righe. Nemmeno quando, nonostante i tanti elementi a disposizione, la procura del Tribunale dei Minorenni aveva deciso di archiviare il caso. Lei si è opposta ed ora raccoglie i frutto dei suoi sacrifici: “Dobbiamo continuare su questa strada – ha spiegato la Sermino – solo così potremo un giorno dare un nome e un cognome all’assassino di mio marito. Sì, perché Giuseppe no né stato ucciso da un botto di capodanno, ma dalla camorra”.

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