TORRE ANNUNZIATA. Tentò di proseguire la sua latitanza a Malta, violando le prescrizioni della sorveglianza speciale: confermata in Appello la condanna a 4 anni per il boss Aldo Gionta e i suoi tre complici. Anche in secondo grado per tutti gli imputati è stata esclusa l'aggravante dell'articolo 7, contestata dall’ex pm antimafia Pierpaolo Filippelli.

Per i giudici della Corte di Napoli il “boss poeta” si sottrasse solo all’obbligo di non uscire dal comune di residenza: Torre Annunziata. Obbligo impostogli il 1 agosto 2013 dall’ufficio Prevenzione del Tribunale. Il capoclan era stato scarcerato il giorno prima. I suoi tre complici invece, il 24 enne Giuseppe Lombardo di Pompei, e le stabiesi Livia Verdoliva (39) e Giovanna Ferraro (34), tutti residenti in via Vittorio Veneto, “non sapevano che Aldo Gionta fosse un boss, ma solo un camorrista”.

I giudici hanno accolto la tesi degli avvocati Giuseppe Tortora, Gaetano Rapacciuolo e Mauro Porcelli, concedendo ai complici il beneficio della pena sospesa. Lombardo ha incassato una condanna a 2 anni: era il solo a possedere un documento d’identità falso. Un anno e mezzo a testa per le due donne che aiutarono Aldo Gionta nel suo tentativo di fuga in aliscafo, il 16 agosto 2014, dal porto di Pozzallo (Ragusa) verso Malta. 

LA VICENDA. Il boss era latitante dal 5 giugno 2014, sfuggito al maxi blitz contro il clan Gionta condotto dai carabinieri di Torre Annunziata nel Quadrilatero Carceri. Da allora, per due mesi, "Aldo il ribelle" si travestì anche da donna, nascondendosi tra Sant’Antonio Abate e l'estero per sfuggire alla cattura.

La sua fuga terminò il 16 agosto all’imbarco siciliano di Pozzallo. “Non sono Aldo Gionta, quello che cercate” – disse il boss ai carabinieri del nucleo investigativo di Torre Annunziata e di Modica, che lo arrestarono al porto in compagnia dei suoi complici - . Con sé il ras aveva un documento falso: si chiamava Pasquale Castello. Aldo Gionta ammise la propria identità solo dopo la comparazione delle impronte digitali presenti nelle banche dati degli Interni.

LA CURIOSITA’. Scarcerato per “decorrenza termini”, il 31 luglio 2013, Aldo Gionta aveva un obbligo: pagare 10mila euro di cauzione perché sorvegliato speciale in casa per 4 anni, a via Bertone 46, l’ex roccaforte ormai murata del clan. Soldi però mai versati allo Stato dal boss con l’hobby per la poesia e i “pizzini”.  Per questo il Tribunale di Napoli ha già condannato a settembre Aldo Gionta (oggi detenuto al 41-bis in regime di massima sicurezza) alla pena di quattro mesi di carcere.

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