TORRE ANNUNZIATA. “La causa del decesso di Aldo Gionta va ricondotta ad una complicanza su base aritmica, con conseguente edema polmonare acuto occorso a seguito di sindrome coronarica. Nessuna colpa per specialisti ed infermieri. La morte fu imprevedibile ed inevitabile”.

E’ stato un improvviso infarto, fronteggiato con una “defibrillazione correttamente eseguita” e vane “manovre rianimatorie praticate successivamente”, a stroncare la vita ad Aldo Gionta, il 48enne cugino omonimo del boss poeta di Torre Annunziata, nonché nipote del fondatore della cosca di camorra di via Bertone, Valentino senior, morto il 12 febbraio scorso nella sala operatoria dell’ospedale “S. Anna” di Boscotrecase (qui e nei link correlati, ndr).

Queste, in sintesi, le conclusioni della relazione autoptica sulla salma, affidata ai 3 consulenti nominati dal pm Silvio Pavia (i dottori Massimo Esposito ed Antonio Mirabella, assieme al professore Giuseppe Servillo), dopo l’inchiesta apertasi d’ufficio a seguito del decesso. Conclusioni che, in pratica, scagionano dall’accusa di concorso in omicidio colposo tutti gli indagati: in totale 5.

G.S., L.G. e G.B., anestesista, ortopedico e cardiologo, in servizio quel giorno all’ospedale e presenti in sala operatoria al momento del decesso del nipote del super-boss (decesso constatato alle ore 10.07, dopo un iniziale arresto cardiaco occorso alle ore 9.32). Con gli specialisti, finirono sotto accusa (atto dovuto) anche due infermieri dell’ospedale di via Lenza. I risultati dell’autopsia adesso scagionano anche loro.

Aldo Gionta, il 6 febbraio, è vittima di un incidente stradale in centro a Torre Annunziata. Arriva con mezzi propri all’ospedale di Boscotrecase e si ricovera. Il nipote del boss riferisce ai medici di soffrire di una “broncopatia cronica”. “Frattura di diafisi chiusa di tibia e perone della gamba sinistra” è la diagnosi di ammissione in corsia. Deve essere operato.

Due giorni dopo il ricovero, Aldo Gionta si sottopone ai rituali test clinici che preparano alla sala operatoria. L’esame neurologico è nella norma, ma il “paziente è in terapia con antipsicotico”. L’anestesista viene allertato. Il 12 febbraio, il giudizio di operabilità “è positivo”. Occorre una trazione. Dopo, tibia e perone vanno immobilizzati con gesso. L’intervento è quasi di routine.

Il cugino omonimo del boss poeta entra in sala operatoria alle 8.45. Un quarto d’ora dopo, ad Aldo Gionta viene praticata un’anestesia spinale. Alle 9.32, il paziente va in arresto cardiaco, perde i sensi. Ha bisogno di maschera, pallone e di un massaggio cardiaco esterno. Che continua, fino alle 10.07.

L’anestesista e l’ortopedico richiedono la consulenza del cardiologo: trattamento immediato con adrenalina, bicarbonato, atropine e dopamina. Ma non c’è nulla da fare. Nonostante, così i consulenti dell’accusa, “la insussistenza di strategia diagnostico-terapeutiche alternative” Aldo Gionta muore. I suoi parenti, immediatamente dopo il decesso, sfogheranno la loro rabbia in ospedale, a Boscotrecase. Quasi tutti, infatti, scaglieranno ai muri bottigliette d’acqua, prelevate poco prima dai distributori automatici installati in corsia.          


Puoi ricevere le notizie de loStrillone.tv direttamente su Whats App. Memorizza il numero 334.919.32.78 e inviaci il messaggio "OK Notizie"