“Ciro Giannini sapeva che papà ha sempre fatto il camorrista, erano amici da tempo. Mia mamma gli diede centomila euro per ristrutturare un immobile in via San Giuseppe alle Paludi. Compravamo case per rivenderle e fare soldi. Buongiorno signor giudice. Sono Isidoro Di Gioia”. La voce del pentito che dal 2013 fa tremare la camorra di Torre del Greco piomba forte, un po’ metallica, in tribunale.

Isidoro Di Gioia, 34 anni, figlio del boss Gaetano “o’ tappo”, ucciso il 31 maggio 2009 da un commando di fuoco nei pressi di via Teatro, racconta al pm della DDA Maria Di Mauro ed ai giudici della seconda sezione penale di Torre Annunziata (presidente di collegio Antonio Pepe), i rapporti che legavano il capo-clan all’imprenditore edile Ciro Giannini (75), arrestato nel 2012 per riciclaggio di denaro sporco.

Giannini ora è alla sbarra con suo figlio, il più giovane Giancarlo: accusato in passato dall’antimafia di essere un mero prestanome. Isidoro Di Gioia è imputato in un procedimento connesso. La legge gli consente di non parlare. Lui risponde. Comunque. Collegato in videosorveglianza da un sito segreto. Nessuno infatti sa da dove. Perché il boss è sotto protezione dello Stato da quasi tre anni.

Tempo ne è passato da quei “dieci assegni da diecimila euro staccati da mamma a Ciro Giannini”. Ma Di Gioia ricorda tutto. Cifre, luoghi, date e “pizzini”. Come quello trovato dagli inquirenti nel 2010 in una tasca del giubbotto di sua madre: “Giannini casa. Dare 260mila euro”. “Era il prezzo di vendita dell’appartamento di via San Giuseppe alle Paludi – chiarisce il pentito - . Il pizzino era scritto in modo semplice. Così mi capivo da solo”.

Quella casa non fu mai costruita, nonostante un “compromesso sottoscritto nel 2008 da Ciro Giannini per 60mila euro”, secondo la versione in aula di uno dei comproprietari dell’immobile da ristrutturare. “Restyling” bloccato da un decreto di sequestro per abuso edilizio. “I soldi per Ciro Giannini – continua Di Gioiali prendemmo dai 425mila euro incassati dall’assicurazione per la morte di mio fratello. Con i ricavi della droga e delle estorsioni, invece, comprammo altre 5 case sempre a Torre del Greco. Una pure sulla via che porta alla Marina”. 

A chi intestava gli appartamenti il bosschiede poi il pm - . “Andavamo da un notaio a fare una cartarisponde il pentito - . Intestavamo gli appartamenti al figlio di Giannini, Giancarlo, Rosario, non ricordo bene il nome. I nostri soldi stavano, in parte, su conti correnti a Torino”. Ma Ciro Giannini, per Isidoro Di Gioia, era “molto amico di un’altra persona. So che Ciro Montella (alias “o’ Lione”, boss del clan “Ascione-Papale” di Ercolano, ndr) comprò da lui due case in un palazzo a Torre del Greco”.

“Dopo l’omicidio di papà – prosegue - Ciro Giannini fu minacciato dagli ‘scissionisti’ dietro la piazzetta”. “Facciamo saltare in aria lo stabile che stai costruendo”, avrebbero detto gli ex fedelissimi di rione San Gennariello all’imprenditore. “Giannini chiese a loro dei soldi per finire i lavori – conclude Isidoro Di Gioia, pentitosi per non “fare la stessa fine” del padre - . Non so se gli furono mai dati”.

In foto, Isidoro Di Gioia portato a braccio dalla Polizia   

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