Accolto dalla Corte Suprema di Cassazione il ricorso sulla posizione di Marianeve Chierchia. La sorella del boss Giuseppe, detenuto al 41 bis e esponente del clan Gionta, è stata arrestata lo scorso 30 giugno con l’accusa associazione finalizzata al traffico di stupefacenti a Torre Annunziata.

Già il Tribunale del Riesame aveva accolto a luglio la tesi difensiva dell’insussistenza di elementi indiziari in ordine all’esistenza di una associazione finalizzata al traffico di droga, confermando però i singoli delitti di detenzione ai fini di spaccio di ingenti quantità di stupefacenti e confermando altresì la contestata aggravante dell’art. 416 bis1 cp (aggravante dell’aver agito per agevolare le attività delittuose del clan Gionta operante in Torre Annunziata).

Con l’ordinanza dello scorso lunedì la Suprema Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dei legali di Marianeve Chierchia.

La difesa, supportata dall’avvocato Antonio Iorio del Foro di Torre Annunziata, e dal’avvocato Giuseppe Annunziata del Foro di Salerno,  ha dimostrato ai giudici di Piazza Cavour come, indipendentemente dalla sussistenza della gravità indiziaria in ordine ai singoli reati, non potesse in alcun modo ritenersi l’aggravante ad effetto speciale dell’ aver agito per agevolare il clan Gionta: ciò in quanto da nessuna intercettazione e da nessun atto di indagine si poteva ritenere nemmeno in termini indiziari il collegamento tra i singoli delitti contestati e l’organizzazione camorristica operante in Torre Annunziata.

Non bastava, quindi, secondo la difesa (ed i i giudici supremi hanno condiviso) che la Chierichia era stata in precedenza condannata in via definitiva per appartenenza al clan Gionta così come non bastava che la stessa fosse sorella del boss detenuto al 41 bis Giuseppe Chierchia, ritenuto elemento di primo piano del clan Gionta.

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