Un viaggio a ritroso nel tempo fino ai primi decenni del 1800 napoletano, con figuranti in vestiti d’epoca, dame, popolane e i due sovrani del regno borbonico. “Un Regno illuminato, tra storia, primati e leggenda” è il racconto messo in scena nella chiesa dello Spirito Santo a Torre Annunziata, dove, tra rievocazione e riscoperte, è stata raccontata la nascita della prima ferrovia d’Italia: la Napoli – Portici. Il dibattito, nella Cripta sottostante, patrocinato del Comune e dalla Real Casa dei Borbone delle due Sicilie, ha poi acceso una nuova luce sul trincerone e sul viadotto ferroviario di Bayard del Comune oplontino, scavato e costruito per il primo prolungamento della tratta ferroviaria napoletana.

I dettagli tecnici dell’opera portati alla luce dallo studio fatto dall’architetto Annunziata Cantile. “Appena ho visto l’imponenza del manufatto ho pensato che dietro la sua costruzione ci fosse una storia importante – ha raccontato – Studiare l’opera mi ha portato da Napoli a Parigi, dove ancora oggi sono custodite tavole e disegni”. A sfondo delle parole della giovane architetta napoletana le immagini d’epoca della costa torrese, le prime bozze pensate dal tecnico francesce che ha ideato il viadotto a metà ottocento, le bozze con i lavori conclusi e le foto della situazione attuale.

Proprio su queste ultime si è legato l’intervento dell’ingegner Modestino Ferraro, della direzione territoriale produzione di RFI, che ha spiegato i lavori di recupero a cui sono soggette le arcate. Alcune settimane fa l’amministrazione uscente e le Ferrovie hanno siglato un contratto per il recupero del viadotto, sia strutturale che estetico.

Infine, “recuperare l’orgoglio di essere napoletani e i pezzi di memoria che sono stati cancellati, non perché vogliamo far tornare sul trono i reali ma per una questione di riscatto”. È il messaggio lanciato dal professore Gennaro De Crescenzo che ha ripreso alcuni dati significativo del periodo antecedente l’unità d’Italia. “Eravamo il regno più ricco tra quelli della penisola, prima che il regno sabaudo ripulisse le casse del Banco di Napoli. Avevamo il maggior numero di fabbriche, di cui oggi solo un ricordo, nelle quali erano impiegati oltre un milione di operai, lo stesso numero di lavoratori dei giorni nostri. Questo è terrificante. Siamo rimasti fermi ad oltre un secolo e mezzo fa. Senza dimenticare gli oltre 70 mila deportati al nord perché accusati di brigantaggio”.

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