L’ultimo in ordine di tempo ad alzare la voce è stato l’assessore regionale alla protezione civile, Edoardo Cosenza. Ha preso penna e foglio ed ha scritto ai Comuni, rimproverandoli: “Dovete aggiornare i cittadini sui piani di sicurezza per il rischio Vesuvio”.

Qualche sindaco ha sorriso. Come tanti cittadini che alzando gli occhi quel gigante, che nasconde lingue di lava e magma, lo vedono tutti i giorni.

I PRIMI PIANI DI EVACUAZIONE

Alla fine degli anni ’90, quando il Vesuvio era un rischio reale e non solo tutti i comuni della zona rossa dovettero dotarsi di un piano di evacuazione. Non c’era ancora il culto della prevenzione. Gabrielli era ancora un funzionario poco conosciuto nella gestione dei rischi. E i comuni diedero il meglio di se.

In un piano, elaborato da menti raffinate, si spingevano addirittura a prevedere la “fuga dei capifamiglia con macchine cariche di vettovaglie e suppellettili, che avrebbero abbandonato momentaneamente i propri cari per portare in salvo le cose”.

Non solo. Ben comprendendo la specifica realtà in cui si andava ad operare, i piani di quegli anni indicavano anche scenari davvero inquietanti: “probabili scontri a fuoco ai distributori di benzina, litigi in strada, risse agli incroci”. Un clima da “gangs of New York, ma senza Di Caprio e Daniel Day Lewis.

IL SILENZIO DELLA REGIONE

Per anni, complice da un lato il palleggiarsi di responsabilità tra Stato centrale, Regione e Provinicia, dall’altro il silenzio dei cosiddetti segnali premonitori del vulcano, il Vesuvio è tornato ad essere quella montagna ornamentale che decora le vite dei vesuviani.

Fino ai primi anni del 2000: una serie di scosse mettono in allarme la comunità scientifica. Anche tra i vulcanologi emergono crepe e divisioni. Mettendo in evidenza il primo problema, mai superato, quando si parla di Vesuvio e di rischio vulcanico. Chi si prende la responsabilità di dare l’allarme. Chi è deputato ad andare in tv, in radio, sui giornali e dire: “ok signori, non sappiamo come dirvelo, ma ci sono segni per i quali il vulcano si sta svegliando” senza scatenare reazioni modello “Fantozzi alla riunione di condominio?”

Qualche esperto tira in ballo la Procura. Chiede di sapere perché i dati non vengono diffusi. Nasce un’inchiesta in cui da un lato c’è il procurato allarme, rischio sempre costante quando si parla di Vesuvio, dall’altro omissione in atti d’ufficio. E’ la procura degli scandali di qualche anno fa. Delle inchieste russe e dei soldi italiani. Quella che sta più sui giornali che sui codici penali. E dunque l’indagine si sgonfia come una bolla di sapone.

I GEMELLAGGI

Prima dei tifosi, la stagione dei gemellaggi la apre il Vesuvio. Nel 2006 infatti la Protezione civile lancia il progetto Mesimex: a campione in alcune città della zona rossa (a quell’epoca ancora solo i paesi confinanti col vulcano o quasi) vengono organizzate scampagnate travestite da esercitazione di fuga di massa. L’esito potrebbe essere comico se non fosse in ballo la vita dei vesuviani, di quelle 600-800mila persone che hanno deciso di vivere all’ombra del Vesuvio. Le immagini dei tg locali immortalano fantomatici e disperati autisti di bus che vanno a bussare a casa della gente per invitarli ad andare sul pullman. “Sa il Vesuvio sta eruttando…” dicono per convincerli. Una pioggia di lapilli di ironia si abbatte su quella spedizione. A fatica comuni e protezione civile provando a difendersi. Le esercitazioni vengono accantonate. Ma l’idea della scampagnata resta negli annali dell’approssimazione figlia della politica di gestione dei rischi legati al Vesuvio.

I NUOVI GEMELLAGGI

Negli ultimi anni la Protezione civile, diventato un centro di potere vero e proprio con Guido Bertolaso (finito poi nella polvere delle inchieste giudiziarie sessuali dell’era Berlusconi) e finalmente trasformatosi nel braccio operativo dello Stato con il Prefetto Gabrielli, rimette mano al caso Vesuvio. Superando le politiche legate agli esodi incentivati dell’assessore Di Lello (30mila euro per andare fuori dalla zona rossa, che diventano soldi per comprare una seconda casa pur rimanendo all’ombra del vulcano), amplia la zona rossa accogliendo le richieste degli esperti, rimodula il criterio dei gemellaggi, dispone che vi sia un graduale allontanamento della popolazione in caso di presenza di segnali premonitori.

Ma pur tra mille sforzi la politica non ce la fa ad affrontare il problema. Il Vesuvio resta come quel parente di cui ti vergogni, come la polvere sotto il tappeto o come la rata del mutuo che ogni sera, prima di andare a letto, sogni sperando non diventi un incubo.

Sta là, esiste e mette paura. Ma invece di affrontarlo con una serie di poteri reali, incisivi e concreti dati alle autorità locali, si preferisce dilatarlo, rinviarlo o peggio dimenticarlo.

Non riuscendo ancora a rispondere ad alcune semplici domande:

1) Se e quando vi saranno segni premonitori, chi si prenderà la responsabilità di dare la notizia?

2) Come verrà gestita l'emergenza?

3) Le vie di fuga sono sufficienti?

Solo tre piccoli, ma scomodi interrogativi. Ai quali nessuno riesce ancora a trovare il tempo di rispondere.

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