Io e Massimiliano Bonzani abbiamo dato l’ordine a Pasquale Cosenza di abbattere i tramezzi”. A dirlo in aula è Gerardo Velotto, uno dei sedici imputati coinvolti nel processo sul crollo della palazzina di via Rampa Nunziante 15 a Torre Annunziata.

Udienza chiave nel processo per ricostruire quanto accaduto quel tragico 7 luglio 2017 nell’appartamento indicato dai tecnici della Procura della Repubblica come il luogo in cui sarebbe partito effettivamente il collasso di una porzione dello stabile.

IL PROGETTO MAI CONSEGNATO. “Ho conosciuto Massimiliano Bonzani tramite amicizie comuni – ha spiegato in aula Velotto nel corso della deposizione -. Quando entrai in trattativa per l’acquisto della casa lo coinvolsi per dirigere i lavori al secondo piano della palazzina di via Rampa Nunziante”. Un progetto però che lo stesso Velotto ha sostenuto di non aver mai visto: “Bonzani mi disse che il progetto era in fase di ultimazione, ma non ho mai avuto modo di vederlo con i miei occhi”. Il tutto senza sapere che l’immobile era soggetto a dei vincoli catastali per cui sarebbe stato impossibile procedere all’effettuazione dei lavori. Bonzani inoltre, avrebbe chiesto dei documenti che Velotto non gli avrebbe mai consegnato. Per questo motivo Velotto stesso ha sporto denuncia per truffa nei confronti di Massimiliano Lafranco e del notaio Domenico Di Liegro, con una richiesta di risarcimento danni.

IL COMPUTO METRICO. I primi intoppi nacquero in seguito alle misurazioni dell’appartamento, più piccole di quanto stimato inizialmente e la trattativa fu interrotta. “In un secondo momento le contrattazioni ripresero – ha continuato Velotto nel corso della deposizione – concordando anche i pagamenti. Una parte di questi, 80mila euro, mi sono stati chiesti in contanti per evitare di pagare troppe tasse”.

I LAVORI. Il 20 maggio 2017 Velotto ha dichiarato di essere entrato per la prima volta nel palazzo, “per pulire il giardino dalle sterpaglie. Circa 13 i giorni di lavoro prima di partire per un viaggio in Spagna”. Viaggio dal quale rientrò il 3 luglio, 4 giorni prima del crollo. A quel tempo però, come ha sostenuto Velotto, le condizioni dell’appartamento erano già precarie. A corredo di questa tesi, nel corso dell’udienza è stato mostrato per la prima volta un album di foto e video, registrati il 18 giugno 2017 con i telefoni cellulari dei figli di Velotto. Dal materiale si evidenziano colonne fecali in pessime condizioni, infissi, battenti e tubi divelti e uno dei maschi murari lato ferrovia il cui intonaco era in parte caduto. Nessuno dei partecipanti alla riunione del 6 luglio 2017 ha però manifestato segni di preoccupazione per le condizioni dell’appartamento. Era stata evidenziata la necessità però di effettuare degli urgenti lavori di ristrutturazione su tutto lo stabile.

LA RIVELAZIONE. La rivelazione più importante è nata a precisa domanda del giudice Todisco, il quale ha chiesto a Velotto chi avesse dato l’ordine agli operai di effettuare la rimozione dei tramezzi: “Siamo stati io e Bonzani ad autorizzare Pasquale Cosenza (uno degli operai al lavoro nella palazzina, ndr)”.

LE ACCUSE RESPINTE. Velotto ne ha per tutti: dalle dichiarazioni rilasciate da Attilio Cuccurullo (“tutte bugie”, ndr), passando per Mario Menichini (“non lo conosco, si è inventato tutto”, ndr), fino all’utilizzo del martello pneumatico (“mai usato all’interno ma solo in giardino. Le mattonelle dell’appartamento le abbiamo tolte con il piccone”, ndr).

LE MINACCE DI MORTE. Velotto è un fiume in piena e denuncia anche le minacce che avrebbe ricevuto nel corso degli ultimi mesi. “Sono stato minacciato anche in quest’aula, ma la cosa più grave è che l'hanno anche con i miei figli minorenni”.

Tutti dettagli che verranno analizzati nella prossima udienza, in programma il 5 febbraio. Sarà l’ultima data utile per ascoltare le deposizioni degli imputati.

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LA TESI DI ACANFORA

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