Da vittima ad aggressore. A sparare per primo fu Salvatore Pennino e non i fratelli Carfora. Volevano vendicare la morte di Nicholas Di Martino ma furono aggrediti per primi. E’ questa la tesi dell’avvocato Alfonso Piscino ripercorsa per ricostruire la vendetta servita con il piombo scatenata dopo la morte del giovane 17enne e del ferimento di suo cugino Carlo Langellotti.

Una notte di sangue che ha sconvolto una intera comunità e che proverà ad avere risposte. La prima arriverà dal rito abbreviato che arriverà a fine mese nella nona sezione del Gip Miranda del Tribunale di Napoli. Alla sbarra Antonio e Giovanni Carfora, figli del boss ergastolano Nicola “‘ò fuoco”, Raffaele Iovine e Giovanni Amendola. Le indagini hanno svelato che il commando partì (con un quinto uomo tuttora non identificato dalle immagini di videosorveglianza) dal capezzale di Nicholas Di Martino, morto all’ospedale San Leonardo di Castellammare di Stabia, decisi a vendicare la sua morte.

IL CARCERE. A giugno scorso il Gip del tribunale di Torre Annunziata Antonio Fiorentino non convalidò il fermo per i fratelli Carfora (Antonio e Giovanni, ndr) e per i due parenti Giovanni Amendola e Raffaele Iodice. I 4 però restarono (e restano tuttora) in carcere per gravi indizi di colpevolezza a causa del tentato omicidio di Salvatore Pennino, avvenuto a poche ore di distanza dall’assassinio del piccolo Nicholas e dal ferimento di suo cugino Carlo Langellotti.

LE PAROLE DELLA DIFESA. “Nessuna vendetta ma legittima difesa - ha puntualizzato nei mesi scorsi l’avvocato Alfonso Piscino, legale della famiglia Carfora -. "Chi ha infranto il vetro con calcio pistola non ha sparato, altrimenti l'avrebbe fatto subito. Una tesi però respinta dal giudice della Corte di Cassazione che ha confermato il carcere per tutti in attesa del rito abbreviato.

LA POSIZIONE DI SALVATORE PENNINO. Secondo la ricostruzione della difesa diversi sono gli elementi che aggraverebbero la posizione di Salvatore Pennino, che da vittima si trasformò in aggressore. Secondo l’avvocato sparò per primo un colpo di pistola, dall’interno della sua auto. Inoltre, si sarebbe disfatto del giubbino che indossava quella notte, “probabilmente temendo possibili esami scientifici (lo stub, per recuperare residui di polvere da sparo, ndr) che lo avrebbero inchiodato”.

I RILIEVI DELLA SCIENTIFICA. Gli investigatori hanno ricostruito con precisione i raid avvenuti quella notte. La Dda però ha cercato finora invano di dare nome al quinto uomo che era con i fratelli Carfora quando provarono a farsi giustizia da soli. Secondo la Dda, infatti, il quinto uomo aveva il compito di guidare l'auto per garantire la fuga ai due Carfora, che esplosero sette colpi contro l'auto di Salvatore Pennino.

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