Una sfilza di pentiti che hanno raccontato in cinque anni di processi dei retroscena che hanno portato all’assassinio di Mamma Coraggio. Testimonianze però che sono state rese troppo tardi rispetto ai termini di legge. Alcune di queste divergenti, in altre i collaboratori di giustizia hanno riferito cose apprese da altri e che non inchiodano definitivamente, oltre ogni ragionevole dubbio, alle sue responsabilità chi risulta essere, secondo gli inquirenti, il mandante di quell’efferato omicidio.

Sono queste le motivazioni che hanno spinto il presidente della Prima Sezione Penale della Suprema Corte di Cassazione Stefano Aprile ad annullare la sentenza di condanna all’ergastolo per il boss Francesco Tamarisco.

LA RICOSTRUZIONE. Il 21 dicembre 2021 il boss dei Nardiello fu condannato in primo grado al carcere a vita, con sentenza confermata in appello per l'omicidio di Matilde Sorrentino avvenuto il 26 marzo 2004. Mamma coraggio" fu uccisa a 49 anni, sulla porta di casa, il 26 marzo 2004, con quattro colpi di pistola. Secondo l'accusa, l’efferato omicidio fu compiuto perché Matilde con le sue denunce aveva squarciato il velo dell'omertà sugli abusi sessuali perpetrati ai danni di alcuni bambini (tra i quali il figlio) nel Rione Poverelli di Torre Annunziata.

Qualche giorno dopo si costituì in carcere l'esecutore materiale, Alfredo Gallo. Fu riconosciuto dal figlio di Matilde e condannato poi all'ergastolo in via definitiva il 25 settembre 2007. Aveva agito su mandato di altri, che all'epoca non erano ancora stati identificati. Fin dalle prime indagini gli inquirenti hanno ritenuto che l'azione si inserisse nella più ampia e articolata vicenda che ha riguardato le denunce delle "Madri Coraggio" per i fatti di pedofilia avvenuti a Torre Annunziata alla metà degli anni '90. Matilde, assieme ad altre mamme, aveva denunciato gli orchi e gli abusi ai danni dei loro figli, sia alla scuola di via Isonzo che in alcune abitazioni.

I PENTITI. Dal 2017, alcuni collaboratori di giustizia hanno reso dichiarazioni che hanno indicato Tamarisco come mandante di quell'omicidio. Rivelazioni che avviarono delle indagini e accertamenti finanziari a carico della famiglia di Alfredo Gallo, che fecero emergere evidenti sproporzioni tra redditi percepiti e somme versate al detenuto. Tra i pentiti ad aver raccontato le loro versioni dei fatti ci sono Alessandro Montella, Michele Palumbo, Giuseppe Pellegrino, Massimo Fattorusso, Pietro Izzo. Poi altri testi come Michele De Simone, Franco Genovese, Vincenzo Longobardi e perfino Valentino Gionta. Tutti loro, in modalità diverse, hanno raccontato di come Francesco Tamarisco voleva che Matilde Sorrentino "andasse zittita per sempre".

Un contributo però che i giudici ermellini hanno definito tardivo perché le dichiarazioni sono state rese a distanza di anni dall’epoca dei fatti, con alcune di queste dichiarazioni che non sono state ritenute pienamente attendibili e non hanno chiarito oltre ogni ragionevole dubbio sull'effettiva conoscenza del fatto. Tantomeno sul presunto pagamento di Tamarisco al killer, di un compenso iniziale di 50mila euro, di un’auto di lusso e del suo mantenimento in carcere.

LE MOTIVAZIONI. In sostanza, si legge nelle trenta pagine di motivazioni, “non sono state verificate bene le ragioni della tardività delle dichiarazioni rese da alcuni pentiti, e di avere analizzato la credibilità degli stessi, anche in considerazione della scarsa specificità degli elementi indicati da ognuno a carico di Tamarisco. Ciò soprattutto perché i pentiti hanno riferito cose apprese da altri, che peraltro, non avevano una propria autonoma e diretta conoscenza dei fatti”.

Ora il processo ripartirà in appello, per un verdetto che avrà il compito di dare coraggio nella giustizia e restituire forza e dignità alla figura di Matilde Sorrentino. Una mamma che non ha fatto altro che cercare di salvare suo figlio e la vita di tanti altri bambini e che al momento non ha ancora un mandante.

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