Con la vittima prescelta sotto tiro non ha fatto fuoco. A premere il grilletto è stato il fratello, colto da rabbia e disperazione per la morte di suo cugino, di soli 17 anni.

E’ questa la tesi percorsa dagli avvocati di Giovanni e Antonio Carfora, i cugini di Nicholas Di Martino, il ragazzo di 17 anni morto il 25 maggio 2020 dopo una colluttazione con Maurizio Apicella e Ciro Di Lauro. Si va delineando il quadro delle responsabilità della vendetta di sangue messa in piedi dalla famiglia Carfora in vista della sentenza che arriverà il prossimo 16 settembre. Un agguato organizzato per vendicare la morte di Nicholas e del ferimento di Carlo Langellotti che quella notte era con lui.

Dopo il raid di via Pasquale Nastro, a cui la vittima, Salvatore Pio Pennino, è riuscito a sfuggire, i Carfora hanno gettato le armi nel torrente Vernotico, nella valle dei Mulini. “Ma non c’è mai stata volontà di uccidere”, ha sostenuto a più riprese il collegio difensivo, composto dagli avvocati Alfonso Piscino, Antonio Di Martino e Raffaele Chiummariello.

Manca però il nome della quinta persona che ha partecipato al commando. Immortalato dalle videocamere di sorveglianza poste sul luogo del raid, ma tuttora non identificato. Il pm ha chiesto condanne esemplari: pena più severa (13 anni) per Antonio Carfora, nei suoi confronti l’aggravante della recidiva; 12 anni per Giovanni Carfora, Raffaele Iovine e Giovanni Amendola. Per gli avvocati dei Carfora si tratta di condanne troppo pesanti in virtù del fatto che “da aggressori divennero vittime della reazione di Pennino”.

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