Usura ed estorsioni per conto dei Gionta: il ritratto di Salvatore "'o capitano"
Fratello di Felicio ex dirigente del Savoia, era a capo dell'affare di famiglia: costringeva a farsi restituire denaro con interessi salatissimi
05-07-2024 | di Marco De Rosa
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Dal 2016 era ritenuto “non più pericoloso socialmente” e andava “liberato subito”. Deve essere cambiato qualcosa nel tempo, dopo il nuovo arresto effettuato questa mattina dalla Polizia di Torre Annunziata.
Un vortice di terrore, estorsioni e aggressioni, in compagnia della moglie, della cognata, del figlio e del genero. Salvatore Ferraro, alias “’o capitano”, 60 anni, è tuttora un volto noto della criminalità locale. Fratello di Felicio Ferraro, l'ex dirigente del Savoia anch'egli invischiato in un losco giro di estorsioni. Sua moglie Anna è la sorella di uno dei killer storici dei Gionta Francesco Bove, attualmente detenuto in carcere.
I giudici nel 2016 liberarono Salvatore Ferraro dalla sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno nel comune di Torre Annunziata, dopo averlo arrestato nel blitz “Alta Marea” del 2008, che decapitò il clan con 80 arresti tra boss ed affiliati. Salvatore Ferraro, prima dello sgombero coatto da Palazzo Fienga, l’ex roccaforte del clan Gionta “liberata” nel 2015 da Procura e forze dell’ordine, fu assolto in via definitiva proprio dal maxi-processo alla camorra “Alta Marea”. Poi nel 2016 la Corte di Cassazione gli annullò una condanna ad 11 anni e 2 mesi di reclusione, ricevuta in secondo grado per associazione per delinquere. Stessa sorte nel processo sul pizzo “a rate”, imposto da una camorra con l’acqua alla gola ai commercianti di Torre Annunziata. Tra quelli a gestire il racket “con sconto”, secondo l’Antimafia, c’era anche ‘o capitano. Ma per entrambi le accuse già caddero in primo grado, dopo pochi mesi dal via al processo.
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Una carriera decennale nella malavita alla quale si è aggiunto un ulteriore tassello, quello di oggi, con un autentico affare in famiglia, relativo ad un altro giro di estorsioni, gestito con la moglie, la cognata, il figlio e il genero. Sempre per conto del clan Gionta: costringevano le vittime alla paura e al silenzio invocando il nome di uno dei clan storici di Torre Annunziata.
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