Nicholas Di Martino non è morto per una banale lite tra ragazzi e nemmeno come risposta per legittima difesa.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione sulla notte di sangue che ha sconvolto la città di Gragnano poco più di un anno fa, in vista del processo vero e proprio. Due raid, uno in via Vittorio Veneto, l’altro in via Pasquale Nastro, inseriti in una lite tra bande per il controllo delle piazze di spaccio a Gragnano. Nicholas, appena 17enne, fu ucciso da una coltellata sferrata da Maurizio Apicella, che ferì gravemente anche Carlo Langellotti.

In cella da mesi, sul capo di Maurizio Apicella, 20 anni e figlio del ras Rossano l'accusa più grave. Dietro le sbarre anche il suo compagno di quella notte Ciro di Lauro, 21 anni. Furono loro, come hanno anche ammesso, a ferire a morte il nipote del boss ergastolano Nicola Carfora e il cugino, Carlo Langellotti, che era con lui quella notte.

I giudici ermellini hanno spiegato che Apicella, dopo essersi liberato dalla morsa del suo aggressore, ha difeso il suo amico sferrando una coltellata fatale, ma non per legittima difesa. Ciò che non ha convinto i giudici è che Apicella, tenuto per la gola da Langellotti, dopo essersi liberato della sua morsa avrebbe potuto sfuggire alla lite allontanandosi, anziché andare in soccorso dell’amico Ciro Di Lauro. Tra l’altro è emersa anche la sproporzione tra difesa e offesa. Apicella era armato di coltello mentre Nicholas era disarmato e non ha avuto scampo. Una vita spezzata a 17 anni e i familiari che in questi mesi hanno chiesto a gran voce giustizia.

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